"Gli
dèi, il (tuo) valore e la tua fortuna ti hanno
concesso di avere ogni potere (lett.: hanno concesso
che potessi tutte le cose) su di noi; ma se è
permesso ad una prigioniera di elevare la (sua) voce
supplice al (lett.: presso il) signore della (sua)
vita e della sua morte, se (le è permesso) di toccare
le (sue) ginocchia e la sua destra vincitrice, (ti)
prego e (ti) scongiuro per la regale maestà che fino
a poco fa fu anche nostra (lett.: nella quale poco
prima anche noi fummo), per il nome della gente numida
che tu avesti in comune con Siface, per gli dèi di
questa reggia, che possano accoglierti con auspici
migliori di quelli (con cui) hanno fatto partire da
qui Siface, (ti prego) di concedere ad una supplice la
grazia di decidere (lett.: questa grazia, cioè che
decida) tu solo sulla tua prigioniera, qualunque cosa
(ti) suggerisca il (tuo) animo, e di non permettere
che io cada in balìa del capriccio di un
qualunque romano superbo e crudele (lett.: venga
nell'arbitrio superbo e crudele di un qualunque
romano). Se (pure) io non fossi stata nient'altro che
la moglie di Siface, preferirei tuttavia affidarmi
alla protezione di un numida nato come me (lett.: con
me) in questa stessa Africa piuttosto che (a quella)
di uno straniero e di un'altra razza: che cosa debba
temere una cartaginese da un romano, che cosa (debba
temere) la figlia di Asdrubale, lo sai bene (lett.:
vedi). Se non puoi in nessun altro modo, (ti) prego e
(ti) scongiuro di sottrarmi all'arbitrio dei Romani
con la morte".
|