Preghiera di Camillo agli dèi

 

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Essendo stata presa Veio con la forza e saccheggiando e portando via i Romani una ricchezza infinita, Camillo guardando dalla rocca le cose che venivano fatte, prima di tutto, immoto (lett.: essendo rimasto immobile), pianse, poi, avendo ricevuto le felicitazioni dei presenti (lett.: considerato felice dai presenti) sollevò le mani agli dèi e pregando disse: “Grandissimo Zeus e (voi) dèi che osservate le (lett.: osservatori delle) azioni buone e (quelle) malvagie, voi certamente sapete riguardo ai Romani che non contro giustizia ma difendendoci per necessità puniamo una città di uomini maligni e iniqui. Ma se, disse, anche a noi è dovuta una collera divina corrispondente in senso contrario alla presente prosperità, (vi) prego che questa ricada su di me con un male piccolissimo in difesa della città e dell’esercito dei Romani”. Avendo detto queste parole, come è costume per i Romani di girarsi a destra dopo aver pregato ed essersi inchinati, voltandosi scivolò. Essendosi turbati i presenti, di nuovo essendosi rialzato dalla caduta, disse che a lui secondo la preghiera era accaduta una piccola caduta per (= “a causa di” oppure “in seguito a”) una grandissima fortuna.