La spada di Damocle -
Cicerone
Dionigi fu tiranno dei Siracusani per trentotto anni, essendosi
impadronito del potere a venticinque anni d’età. Una città fornita di
quale bellezza, e una cittadinanza (fornita) di quale ricchezza (oppure:
di quale potenza) tenne oppressa con la schiavitù!
Questo tiranno giudicò egli stesso quanto fosse felice. Infatti poiché
Damocle, uno dei suoi cortigiani, citava in un discorso le sue
ricchezze, la (sua) potenza, la grandezza del (suo) dominio,
l’abbondanza dei beni, lo splendore della reggia (lett.: del palazzo
reale), e diceva che mai nessuno era stato più felice (di lui), disse:
“Vuoi dunque, Damocle, dal momento che questa vita ti alletta,
assaporarla tu stesso e sperimentare la mia fortuna?”. Poiché egli aveva
risposto che lo desiderava, (Dionisio) ordinò di collocare (quell’) uomo
su un letto d’oro coperto con un bellissimo drappo intessuto ornato di
magnifici ricami, e adornò parecchi tavoli con vasellame d’oro e
d’argento cesellato (lett.:
con oro e argento cesellato).
Poi ordinò a servi scelti di straordinaria bellezza di mettersi vicino
alla mensa e di servirlo (lett.: che lo servissero) con cura, osservando
il suo cenno. Vi erano unguenti, ghirlande, venivano bruciati profumi,
si imbandivano mense con vivande squisite: a Damocle sembrava (lett.:
Damocle sembrava a se stesso) di essere fortunato. Nel (bel) mezzo di
questo apparato, (Dionisio) ordinò che fosse sospesa al soffitto,
attaccata per un crine di cavallo, una spada splendente, in modo che
pendesse sul collo di quel(l’uomo) felice. E così (egli) non guardava
(più) quei bei servitori né l’argenteria finemente lavorata (lett.:
l'argento pieno di arte),
né stendeva la mano verso il cibo; ormai gli scivolavano giù le stesse
ghirlande; infine pregò il tiranno di permetter(gli) di andar via,
perché non voleva più essere felice. Sembra abbastanza (chiaro) che
Dionigi dimostrò che non c’è nessuna felicità (lett.: non c’è nulla di
felice) per colui sul quale penda qualche terrore?
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