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Non bisogna cedere all'ira
Gran parte (degli uomini) si costruisce di propria mano dei litigi o sospettando cose false o aggravando cose di poca importanza. Spesso l'ira viene a noi, più spesso noi (veniamo) all'ira (lett. a quella). Ma essa non deve mai essere chiamata: anche quando ci assale improvvisamente, bisogna respingerla. Nessuno dice a se stesso: "Ciò per cui mi arrabbio o l'ho fatto (anch'io) o avrei potuto farlo". Nessuno considera la disposizione d'animo di che agisce, ma giudica (solo) il fatto in sé: eppure bisogna guardare a fondo l'autore (lett.: lui) (considerando) se ha agito intenzionalmente o per caso (lett.: se ha voluto o ci è capitato), se è stato costretto o ingannato, se ha seguito l'odio o (il miraggio di) un premio, se ha agito secondo il suo modo di fare o se ha prestato la (sua) mano ad un altro. Vale qualcosa (anche) l'età del colpevole, (vale) qualcosa la (sua) condizione sociale, a far sì che sia umano o utile il sopportare pazientemente (lett.: sopportare e subire). Mettiamoci al posto in cui si trova colui col quale ci adiriamo: ora ci rende iracondi una stima ingiusta di noi stessi e non vogliamo sopportare ciò che (invece) vorremmo fare. Nessuno rimanda a dopo; eppure il rimandare a dopo è il maggior rimedio dell'ira, (che fa) in modo che il suo primo ribollire si plachi e che la nebbia che offusca la mente o svanisca o diventi meno densa. Alcuni di quegli impulsi che ti trasportavano a precipizio si affievoliranno nel giro di un'ora, non solo di un giorno (lett.: un'ora non solo un giorno affievolirà alcuni...), alcuni svaniranno del tutto; se il rinvio richiesto non concluderà nulla, apparirà chiaro che ormai è una convinzione, non ira. Qualunque cosa di cui vorrai sapere di che natura sia, affidala al tempo: non si vede nulla in modo chiaro in mezzo ai flutti.
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