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Punizioni dei censori (I parte) 

 

Tra i severi provvedimenti dei censori ci sono nella letteratura questi tre esempi di rigorosissima disciplina. Il primo è di questo genere. Un censore stava provvedendo al giuramento rituale sulle mogli; la formula era questa (lett.: le parole erano state così disposte): “Sulla tua buona fede, hai moglie?” (Ad un certo punto) quello che doveva giurare fu un tale, buontempone, lingua tagliente e giocherellone (anche) troppo. Egli pensando di avere l’occasione per fare una battuta, avendogli detto il censore così come era costume, “sulla tua buona fede, hai moglie?”, disse: “Certo che ho moglie, ma non in buoma fede, per Ercole”. Allora il censore lo relegò tra gli erari, perché aveva scherzato inopportunamente e registrò come motivazione quella di aver pronunciato davanti a lui una battuta da buffone (lett.: questa di una battuta da buffone detta presso di lui).

La seconda manifestazione di severità è del medesimo tipo di disciplina. Si deliberava (lett.: si deliberò) sulla nota di biasimo di quel (tale) che era stato (lett.: fu) citato a difesa da un amico davanti ai censori e, stando in piedi durante il processo aveva sbadigliato (lett.: sbadigliò) in modo troppo appariscente e sonoro e stavano (lett.: si stette) per farlo punire sul momento poiché quello era la manifestazione di un animo incostante e stravagante e di una noncuranza indifferente e sfacciata. Ma poiché egli aveva giurato di essere stato sopraffatto dallo sbadiglio assolutamente contro la sua volontà e pur cercando di opporvisi e di essere affetto da quel male che si chiama “male dello sbadiglio”, allora fu sottratto alla punizione già prevista.

Publio Scipione Africano, figlio di Paolo, raccontò entrambi gli episodi nell’orazione che tenne durante la censura, per esortare il popolo (a tornare) ai costumi degli antenati.

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