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Temistocle fa ricostruire le mura

Themistocles ad ephoros Lacedaemoniorum accessit, penes quos summum erat imperium, atque apud eos contendit falsa iis esse delata: quare aequum esse illos viros bonos nobilesque mittere quibus fides haberetur, qui rem explorarent: interea se obsidem retinerent. Gestus est ei mos, tresque legati functi summis honoribus Athenas missi sunt. Cum his collegas suos Themistocles iussit proficisci iisque praedixit, ut ne prius Lacedaemoniorum legatos dimitterent quam ipse esset remissus. Hos postquam Athenas pervenisse ratus est, ad magistratum senatumque Lacedaemoniorum adiit et apud eos liberrime professus est: Athenienses suo consilio, quod communi iure gentium facere possent, deos publicos suosque patrios ac penates, quo facilius ab hoste possent defendere, muris saepsisse neque in eo quod inutile esset Graeciae fecisse. Nam illorum urbem ut propugnaculum oppositum esse barbaris, apud quam iam bis classes regias fecisse naufragium. Lacedaemonios autem male et iniuste facere, qui id potius intuerentur, quod ipsorum dominationi quam quod universae Graeciae utile esset. Quare, si suos legatos recipere vellent, quos Athenas miserant, se remitterent, aliter illos numquam in patriam essent recepturi.

Cornelio Nepote, Vita di Temistocle 7. 1-6 passim

 

 

 

Ed ecco la traduzione letterale

                                                            

Temistocle si recò dagli Efori degli Spartani presso i quali vi era il sommo potere e alla loro presenza affermò che erano state riferite a loro notizie false: perciò era giusto che quelli mandassero degli uomini onesti e nobili  di cui si avesse fiducia, a indagare la cosa: nel frattempo tenessero lui come ostaggio. Gli fu dato l’assenso e furono mandati ad Atene tre ambasciatori che avevano rivestito le cariche più alte. Temistocle ordinò ai suoi colleghi di partire con questi e diede loro istruzione di non congedare gli ambasciatori degli Spartani prima che fosse stato rilasciato egli stesso. Dopo che pensò che questi fossero giunti ad Atene, si presentò dai magistrati e dal senato degli Spartani e alla loro presenza parlò molto liberamente: gli Ateniesi, dietro suo consiglio, cosa che potevano fare per il diritto comune delle genti, avevano circondato di mura gli dèi pubblici e i loro propri dèi patri e Penati, per poterli difendere più facilmente dal nemico e avevano fatto in ciò una cosa che non era inutile alla Grecia. Infatti la loro città era opposta ai barbari come un baluardo, presso cui già due volte le flotte regie avevano fatto naufragio. Invece si comportavano male e ingiustamente gli Spartani che miravano a ciò che era utile al loro dominio piuttosto che a ciò che era utile a tutta la Grecia. Perciò se volevano riavere i loro ambasciatori che avevano mandato ad Atene, lasciassero andare lui, altrimenti non avrebbero mai riavuto in patria quelli.

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