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La patria parla a Cicerone

 

Etenim si mecum patria, quae mihi vita mea multo est carior, si cuncta Italia, si omnis res publica loquatur: 'M. Tulli, quid agis? Tune {eum [quem (esse hostem) comperisti], [quem (ducem belli futurum) vides], [quem (exspectari imperatorem in castris hostium) sentis], auctorem sceleris, principem coniurationis, evocatorem servorum et civium perditorum, exire} patiere? (1) Nonne hunc in vincla duci, non ad mortem rapi, non summo supplicio mactari imperabis? Quid tandem te impedit? mosne maiorum? At numquam in hac urbe qui a re publica defecerunt civium iura tenuerunt. An invidiam posteritatis times? Praeclaram vero populo Romano refers gratiam qui te, hominem per te cognitum, nulla commendatione maiorum tam mature ad summum imperium per omnis honorum gradus extulit, si propter  invidiam aut alicuius periculi metum salutem civium tuorum neglegis. Sed si quis est invidiae metus, non est vehementius severitatis ac fortitudinis invidia quam inertiae ac nequitiae pertimescenda. An, cum bello vastabitur Italia, vexabuntur urbes, tecta ardebunt, tum te non existimas invidiae incendio conflagraturum?' His ego sanctissimis rei publicae vocibus et eorum hominum qui hoc idem sentiunt mentibus pauca respondebo.

Cicerone, In Catilinam 1. 27-29 passim

1) Il periodo è piuttosto complesso per cui abbiamo evidenziato la struttura con le parentesi {...[...(...)...]...}; la principale Tune...... patiere va sottolineata

 

 

Ed ecco la traduzione letterale

                                                            

Se la patria che per me è molto più cara della mia vita, se tutta l’Italia, se tutto lo Stato, parlasse con me (dicendo): “Marco Tullio, che cosa fai? Proprio tu permetterai che egli, che hai accertato che è un nemico, che vedi che sarà comandante della guerra, che senti dire che è atteso come comandante nell’accampamento dei nemici, che (è) autore di delitti, capo della congiura, che raduna in armi servi e delinquenti (lett.: cittadini perduti), (sopporterai) che esca (dalla città)? Non ordinerai che costui venga condotto in carcere, trascinato a morte, ucciso con il peggior supplizio? Insomma che cosa te lo impedisce? Il costume degli antenati? Ma in questa città coloro che abbandonarono lo Stato non mantennero mai i diritti di cittadini. O forse temi il giudizio negativo dei posteri? Dimostri davvero una eccellente riconoscenza al popolo romano, che ha innalzato te così in fretta al supremo comando attraverso tutti i gradi delle cariche, (te) uomo conosciuto grazie a te, senza alcuna raccomandazione degli antenati, se trascuri la salvezza dei tuoi concittadini a causa del giudizio e della paura di qualche pericolo. Ma se hai qualche timore delle critiche, devi forse temere di più le critiche della severità e della fermezza di quelle della negligenza e della viltà? O forse quando l’Italia sarà devastata dalla guerra, le città saranno sconvolte,le case bruceranno, non credi che allora tu brucerai per le fiamme del (nostro) biasimo?”. A queste sacrosante parole della Repubblica e alle menti di quegli uomini che la pensano allo stesso modo (lett.: pensano questa stessa cosa) risponderò poche cose.

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