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Timoleonte di Corinto fu senza dubbio
grande, a giudizio di tutti. E infatti solo a costui toccò, cosa che
forse non toccò a nessuno1,
sia di liberare la città in cui era nato dal tiranno che
l’opprimeva2, sia di
allontanare dai Siracusani, in aiuto dei quali era stato inviato, una
schiavitù ormai radicata, sia, con il suo arrivo, di far ritornare
nell’antico stato tutta la Sicilia, travagliata per tanti anni dalla
guerra e oppressa dai barbari. Ma in queste imprese lottò con una
sorte non facile e, cosa che è reputata piuttosto difficile,
fronteggiò molto più saggiamente la sorte favorevole di quella
contraria. Infatti, (pur) avendo suo fratello Timofane, scelto come
condottiero dai Corinzi, occupato la tirannide per mezzo di soldati
mercenari e (pur) potendo (egli) essere partecipe del potere3,
fu tanto lontano dal partecipare4
a (quella) scelleratezza, che antepose la libertà dei suoi
concittadini alla salvezza del fratello e giudicò preferibile
obbedire alle leggi che comandare alla patria. Con questo sentimento
fece uccidere il fratello tiranno per mezzo di un aruspice e di un
comune parente che aveva sposato una sorella nata dai (loro) medesimi
genitori. Egli, (però), non solo non vi prese parte, ma non volle
neppure vedere il sangue fraterno.
Soluzione dell'esercizio: