Il lungo cammino dell'uomo verso la convivenza civile - Platone Platone, Protagora 322 a-c
Ma quando l’uomo fu partecipe di sorte
divina, prima di tutto per la (sua) parentela [col dio], unico tra gli
esseri viventi, credette (nell’esistenza de)gli dei e si metteva ad
erigere altari e statue di dei; poi, con l’arte, ben presto articolò
suoni e parole e inventò abitazioni, abiti, calzari, giacigli e i
nutrimenti (che si ricavano) dalla terra. E così provvisti, in principio,
gli uomini vivevano sparpagliati (lett.: qua e là) e non c’erano città;
venivano perciò uccisi dalle fiere, poiché erano (lett.: per l’essere
essi) più deboli di quelle in tutto e per tutto e la loro abilità pratica
era, sì, un aiuto adeguato per (procurarsi il) nutrimento, ma (era)
insufficiente nella lotta contro le fiere - infatti, non avevano ancora
l’arte politica di cui (è) parte (l’arte) bellica - pertanto,
cercavano di riunirsi e di salvarsi fondando città; intanto, quando si
riunivano, si offendevano tra di loro perché non avevano l’arte
politica, cosicché, di nuovo si disperdevano e morivano (lett.:
disperdendosi morivano). Zeus allora, temendo che la nostra stirpe andasse
completamente distrutta (lett.: avendo temuto per la stirpe di noi che
perisse tutta), inviò (lett.: invia) Ermes perché portasse agli uomini
rispetto e giustizia affinché (questi concetti) fungessero da (lett.: fossero) ordinamenti
politici delle città e da vincoli di amicizia.
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