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Approdati all'isola Ogigia, sbarcammo (lett.: sbarcavamo). Io prima di
tutto, dissigillata la lettera, lessi il contenuto (lett.: leggevo le
cose scritte). Era suppergiù questo (lett.: erano tali): «Ulisse a
Calipso salute. Sappi che io, non appena salpai da te dopo essermi
costruito la zattera, fatto naufragio, a mala pena fui portato in salvo
da Leucòtea (1) nel paese dei Feaci, dai quali rimandato in patria,
trovai che molti pretendenti di (mia) moglie gozzovigliavano nella mia
roba; uccisi tutti quanti, in seguito fui ucciso da Telegono, il
(figlio) natomi da Circe, e adesso sono nell'isola dei Beati,
assolutamente pentito di aver lasciato la vita (che conducevo) presso di
te e l'immortalità da te offertami. Se dunque coglierò l'occasione, me
ne fuggirò e verrò (lett.:
essendo fuggito, arriverò) da te». Questo diceva (lett.:
queste cose rivelava) la lettera.
(1)
altro nome di Ino,
la dèa marina che, secondo il mito, avrebbe aiutato Odìsseo a mettersi
in salvo.
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