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Seneca, De vita beata

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Tutti, o fratello Gallione, vogliono vivere felici, ma quando poi si tratta di riconoscere cos'è che rende felice la vita, ecco che ti vanno a tentoni; a tal punto è così poco facile nella vita raggiungere la felicità, che uno, quanto più affannosamente la cerca, tanto più se ne allontana, per poco che esca di strada; che se poi si va in senso opposto, allora più si corre veloci e più aumenta la distanza. Perciò dobbiamo prima chiederci che cosa desideriamo; poi considerare per quale strada possiamo pervenirvi nel tempo più breve, e renderci conto, durante il cammino, sempre che sia quello giusto, di quanto ogni giorno ne abbiamo compiuto e di quanto ci stiamo sempre più avvicinando a ciò verso cui il nostro naturale istinto ci spinge. Finché vaghiamo a caso, senza seguire una guida ma solo lo strepito e il clamore discorde di chi ci chiama da tutte le parti, la nostra vita si consumerà in un continuo andirivieni e sarà breve anche se noi ci daremo giorno e notte da fare con le migliori intenzioni. Si stabilisca dunque dove vogliamo arrivare e per quale strada, non senza una guida cui sia noto il cammino che abbiamo intrapreso, perché qui non si tratta delle solite circostanze cui si va incontro in tutti gli altri viaggi; in quelli, per non sbagliare, basta seguire la strada o chiedere alla gente del luogo, qui, invece, sono proprio le strade più frequentate e più conosciute a trarre maggiormente in inganno. Da nulla, quindi, bisogna guardarsi meglio che dal seguire, come fanno le pecore, il gregge che ci cammina davanti, dirigendoci non dove si deve andare, ma dove tutti vanno. E niente ci tira addosso i mali peggiori come l'andar dietro alle chiacchiere della gente, convinti che le cose accettate per generale consenso siano le migliori e che, dal momento che gli esempi che abbiamo sono molti, sia meglio vivere non secondo ragione, ma per imitazione. Di qui tutta questa caterva di uomini che crollano gli unì sugli altri. Quello che accade in una gran folla di persone, quando la gente si schiaccia a vicenda (nessuno cade, infatti, senza trascinare con sé qualche altro, e i primi provocano la caduta di quelli che stan dietro), capita nella vita: nessuno sbaglia solo per sé, ma è la causa e l'origine degli errori degli altri; infatti è uno sbaglio attaccarsi a quelli che ci precedono, e poiché ognuno preferisce credere, piuttosto che giudicare, mai si esprime un giudizio sulla vita, ma ci si limita a credere: così l'errore, passato di mano in mano, ci travolge e ci fa precipitare. Gli esempi altrui sono quelli che ci rovinano; noi invece staremo bene appena ci staccheremo dalla folla. Ora, in verità, il popolo, contro la ragione, si fa difensore del proprio male. E succede come nei comizi quando, mutato che sia il volubile favore popolare, a meravigliarsi dell'elezione dei pretori sono proprio quelli che li hanno eletti: approviamo e nello stesso tempo disapproviamo le medesime cose; è questo il risultato di ogni giudizio che si dà secondo quel che dicono i più.

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Quando, invece, si discuterà sulla vita felice, non mi si potrà rispondere come si fa nelle votazioni: "Sembra che la maggioranza sia da questa parte"; infatti proprio per questo è il parere peggiore. Le cose di questo mondo non vanno poi così bene al punto che i pareri migliori sono di gradimento ai più. La folla è la prova del peggio. Cerchiamo dunque quello che sia meglio da farsi, non quello che è più scontato, e quello che ci può portare al possesso dell'eterna felicità e non quello che ha l'approvazione del volgo, che è un pessimo interprete della verità. E chiamo volgo sia quelli che indossano la clamide che quelli che portano la corona; io non guardo al colore delle vesti con cui la gente si copre; non credo ai miei occhi nel giudicare un uomo, ho una luce migliore e più sicura con cui distinguere il vero dal falso; è l'animo che deve trovare il bene dell'animo. Questo, se avrà mai l'agio di respirare e di ritirarsi in se stesso, oh, quasi torturandosi da solo, confesserà la verità e dirà: "Tutto quello che ho fatto finora vorrei che non fosse mai stato fatto, e quando ripenso a ciò che ho detto invidio quelli che sono muti; tutto quello che ho desiderato lo ritengo una maledìzione dei miei nemici, tutto quello che ho temuto, santi numi, quanto meglio era di quel che ho bramato! Con molti ho avuto a che dire e dopo l'odio mi sono riconciliato (se mai ci può essere riconciliazione tra malvagi), ma ancora non sono diventato amico di me stesso. Ho fatto ogni cosa per innalzarmi sulla moltitudine e mettermi in evidenza per qualche mio pregio: ma che altro ho ottenuto se non di espormi ai dardi e mostrare alla malvagità dove mordere? Tu li vedi questi che lodano l'eloquenza, inseguono le ricchezze, adulano chi ha credito, esaltano il potere? Tutti, o sono nemici o, il che è lo stesso, possono esserlo: quanto numerosa è la folla degli ammiratori, tanto lo è quella degli invidiosi. Perché allora non cerco qualcosa che io realmente senta come un bene e che non debba mostrare? Queste cose che noi stiamo a guardare ammirati e dinanzi alle quali noi ci fermiamo, e che gli uni additano stupiti agli altri, brillano di fuori, ma dentro sono ben misere".

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Cerchiamo un bene che non sia appariscente, ma solido e duraturo, e che abbia una sua bellezza tutta intima: tiriamolo fuori. Non è lontano; si troverà, bisogna soltanto che tu sappia dove allungare la mano; ora, invece, come se fossimo al buio, passiamo davanti alle cose che ci sono vicine, inciampando magari proprio in quelle che desideriamo. Ma per non fartela molto lunga, lascerò stare le opinioni degli altri (e infatti sarebbe lungo elencarle e discuterle): tu ascolta la nostra. E quando dico nostra non è che resto legato a qualcuno dei grandi stoici: anche io ho il diritto di dire la mia. Pertanto con qualcuno sarò d'accordo, a qualche altro suggerirò di difendere solo in parte la sua idea, e può darsi che, invitato a parlare per ultimo, io non avrò nulla da ribattere alle cose dette da quelli che mi hanno preceduto e aggiunga: "In più, ecco quel che io penso". lntanto, d'accordo con tutti gli stoici, io seguo la natura; è saggezza, infatti, non allontanarsi da essa e conformarsi alla sua legge e al suo esempio. È dunque felice una vita che segue la propria natura, che tuttavia non può realizzarsi se prima di tutto l'animo non è sano, anzi nell'ininterrotto possesso della sua salute, e poi forte ed energico, infine assolutamente paziente, adattabile alle circostanze, sollecito ma senza angoscia del suo corpo e di ciò che gli concerne, attento a tutte quelle cose che ornano la vita, senza però ammirarne alcuna, disposto a usare i doni della natura ma senza esserne schiavo. Tu capisci, anche se io non lo dico, che ne deriva una ininterrotta tranquillità e libertà, una volta rimosse le cose che ci irritano o ci atterriscono; infatti, ai piaceri e alle seduzioni, che sono ben meschini e fragili e dannosi per il loro stesso profumo, subentra una gioia infinita inestinguibile, costante e, ancora, la pace, l’armonia de animo e la grandezza insieme alla bontà: infatti ogni cattiveria deriva dalla debolezza.

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La nostra felicità può essere anche definita altrimenti, nel senso che lo stesso concetto può essere espresso con parole diverse. Allo stesso modo che un esercito si può schierare ora su un fronte molto ampio, ora restringersi in uno spazio più angusto o rientrare al centro curvando le ali o spiegarsi su una linea diritta, esso sempre, comunque sia disposto, ha la medesima forza e la medesima volontà di battersi per la stessa causa: così la definizione del sommo bene può essere ampliata ed estesa o condensata e ristretta. E, quindi, sarà lo stesso se dirò: "Il sommo bene è l'animo che ha in dispregio i doni della fortuna e si compiace della virtù" oppure: "È un'indomita forza d'animo, esperta delle cose, serena nell'azione, dotata di grande umanità e sollecitudine nei riguardi degli altri". Ma si può definire ancora dicendo felice quell'uomo per il quale il bene e il male non sono se non un animo buono o un animo cattivo, che pratica l'onestà, che si compiace della virtù, che non si lascia esaltare né abbattere dagli eventi fortuiti, che non conosce altro bene più grande di quello che lui stesso è in grado di procurarsi, per cui il piacere più vero sarà il disprezzo dei piaceri. E se vuoi dilungarti, si può ancora presentare lo stesso concetto sotto vari e diversi aspetti, lasciandone intatto il valore; che cosa, infatti, ci vieta di dire che la felicità consiste in un animo libero, elevato, intrepido, saldo, che lascia fuori di sé timore e cupidigia, che considera unico bene l'onestà e unico male la turpitudine e tutto il resto un vile coacervo di cose che non tolgono né aggiungono nulla a una vita felice e che possono venire o andarsene senza accrescere o diminuire il sommo bene? A un comportamento così saldo, si voglia o no, seguirà una ininterrotta serenità e una profonda letizia che nasce dall'intimo, perché si rallegra di quel che ha e non desidera nulla di più di quanto le è proprio Ebbene, tutto questo non ripaga ampiamente i meschini, futili, effimeri moti del nostro fragile corpo? Il giorno in cui si sarà schiavi del piacere lo si sarà anche del dolore; e tu vedi a quale spietata e funesta schiavitù dovrà soggiacere colui che sarà posseduto alternativamente dai piaceri e dai dolori, i più capricciosi e dispotici dei padroni; quindi bisogna trovare un varco verso la libertà. E nessun'altra cosa può darcela se non l'indifferenza nei riguardi della sorte: allora nascerà quel bene inestimabile, la pace della mente che si sente al sicuro, e l'elevazione spirituale, e, una volta scacciati i timori, dalla conoscenza del vero una gioia grande e immutabile e l'amabilità e la disponibilità dell'animo, che di queste cose godrà non in quanto beni, ma in quanto nate da un bene che è suo proprio.

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Visto che ormai ho cominciato a trattare l'argomento ampiamente, possiamo ancora definire felice chi, grazie alla ragione, non ha né timori né passioni. In effetti, né i sassi provano paura e tristezza né certamente gli animali. Non per questo si potrebbe dire che sono felici, dal momento che manca loro la consapevolezza della felicità. Vanno messi sullo stesso piano gli uomini che la loro stupidità e l'incoscienza di sé relegano tra le bestie. Non c'è nessuna differenza tra questi e quelle: infatti, le bestie non sono dotate di ragione, questi uomini ne hanno poca e per di più si ritorce a loro danno. Ora, nessuno può dirsi felice se sta fuori dalla verità. Dunque è beata la vita che si basa costantemente su un giudizio retto e fermo. E' allora infatti che la mente è pura, libera da ogni male, capace di sottrarsi sia alle ferite sia alle graffiature, decisa a restare dove si trova e a difendere la sua posizione anche contro le avversità e le persecuzioni della sorte. Per quanto poi concerne il piacere, se pure si spande tutto intorno e si insinua in ogni fessura, ci blandisce l'anima con sue lusinghe e ci mette davanti una tentazione dopo l'altra per sedurci completamente o almeno in parte, c'è forse un uomo, cui resti un briciolo di umanità, che vorrà lasciarsi trastullare giorno e notte e vorrà trascurare l'animo per dedicarsi solo al corpo?

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"Ma anche l'animo" mi puoi dire "avrà i suoi piaceri". E li abbia pure, e sieda giudice del lusso e dei piaceri, si sazi di tutto quello che di solito alletta i sensi, poi rivolga il pensiero al passato e, memore dei piaceri trascorsi, si rallegri per le gioie passate e pregusti quelle future, organizzi le sue speranze e, mentre il corpo è ancora appesantito dal lauto pasto di oggi, corra già col pensiero a quello di domani. Tutto questo mi parrà davvero meschino, dato che preferire il male al bene è pura follia. Nessuno può essere felice se non è sano di mente e certo non lo è chi desidera quello che gli nuocerà. E' felice dunque chi giudica rettamente. E' felice chi è contento della sua condizione, qualsiasi essa sia, e gode di quello che ha. E' felice chi affida alla ragione la condotta di tutta la sua vita.

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Anche quelli che hanno detto che il sommo bene risiede nei piaceri vedono in quale posto vergognoso l'hanno relegato. Per questo affermano che il piacere non può essere separato dalla virtù e sostengono che non vive con onore chi non vive anche con piacere e che non vive con piacere chi non vive anche con onore. Non vedo come si possano accoppiare cose tanto diverse. Per quale ragione, vi chiedo, non si può separare il piacere dalla virtù? Forse perché il principio di ogni bene deriva dalla virtù e dalle sue radici nasce anche quello che voi amate e desiderate? Ma se piacere e virtù non fossero separati non esisterebbero cose piacevoli ma disonorevoli né cose onorevolissime ma difficili e che si raggiungono solo a prezzo di sofferenze. Aggiungi poi che il piacere si accompagna anche alla vita più vergognosa ma la virtù non ammette una vita disonesta, poi che alcuni sono infelici non perché privi di piaceri ma proprio a causa dei piaceri: cosa che non accadrebbe se il piacere fosse mescolato alla virtù, che spesso ne è priva ma mai ne ha bisogno. Perché volete mettere insieme cose diverse, anzi opposte? La virtù è qualcosa di alto, eccelso, regale, invincibile, infaticabile, invece il piacere è una cosa bassa, servile, debole, effimera e sta di casa nei bordelli e nelle taverne. La virtù la troverai nel tempio, nel foro, nella curia, a difesa delle mura, impolverata, accaldata e coi calli alle mani. Il piacere se ne sta quasi sempre nascosto, in cerca del buio intorno ai bagni e alle stufe, nei luoghi che hanno paura degli edili, fiacco, snervato, madido di vino e di profumi, pallido, imbellettato e imbalsamato come un cadavere. Il sommo bene è immortale, non conosce fine, non dà sazietà né rimorso perché la mente retta non cambia, non prova odio per se stessa, non modifica ciò che è già ottimo. Al contrario il piacere si esaurisce sul più bello, è limitato perciò sazia subito, viene a noia e dopo il primo slancio si affloscia. Non può essere stabile quello che per natura è in movimento. Allo stesso modo non può avere nessuna consistenza quello che va e viene in un baleno, destinato a finire nell'attimo stesso in cui si consuma: infatti tende al punto in cui cessa e quando comincia ha già presente la fine.

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E poi perché mai il piacere esiste tanto tra i buoni che tra i malvagi e gli scellerati godono della loro infamia come gli onesti delle buone azioni? Per questo gli antichi ci hanno insegnato a seguire la vita migliore e non la più piacevole, in modo che il piacere sia compagno e non guida di una buona e retta volontà. E' la natura infatti che dobbiamo prendere come guida: a lei si rivolge la ragione, a lei chiede consiglio. Allora vivere felici e secondo natura è lo stesso. Ti spiego cosa intendo: se sapremo conservare con cura e serenità le doti fisiche e le inclinazioni naturali come beni di un solo giorno e fugaci, se non saremo loro schiavi né soggetti al potere delle cose esterne, se le occasionali gioie del corpo per noi avranno lo stesso posto che hanno le truppe ausiliarie e quelle armate alla leggera nell'esercito (devono servire, non comandare), allora di certo saranno utili alla mente. L'uomo non deve lasciarsi corrompere e dominare dagli eventi esterni e deve fare affidamento solamente su se stesso, sicuro di sé e pronto a tutto, insomma artefice della propria vita. La sua sicurezza non manchi di conoscenza e la conoscenza di costanza. Siano sempre saldi i suoi principi e le sue decisioni non subiscano modifiche. Si capisce, anche se non lo dico, che un uomo così sarà equilibrato e ordinato in ogni sua azione, magnifico ma non senza benevolenza. La ragione si interroghi stimolata dai sensi e li prenda come punto di partenza (del resto non ha altro da cui cominciare per prendere slancio verso la verità) ma poi torni in sé. Infatti anche l'universo che tutto abbraccia e Dio che governa il mondo tendono verso l'esterno, e tuttavia sempre rientrano in sé. Così deve fare la nostra mente: anche quando seguendo i sensi si spinge all'esterno deve avere il controllo su questi e su se stessa. In questo modo si realizzerà una forza unica e un'armonia tra le sue facoltà e nascerà quella razionalità sicura che è senza contraddizioni e che non ha incertezze sulle sue opinioni, conoscenze e convinzioni, quella razionalità che, quando si è organizzata ed è concorde in tutte le sue parti e, per così dire, agisce all'unisono, allora ha toccato il sommo bene. Perché non c'è più niente di riprovevole, niente di incerto, niente che la faccia inciampare e scivolare. Farà tutto secondo il proprio volere e non gli capiterà nulla che non abbia previsto. Tutte le sue azioni avranno buon esito in modo facile, agevole e senza ripensamenti: infatti, pigrizia e indecisione denotano contrasto e incoerenza. Perciò si può affermare senza esitazione che il sommo bene è l'armonia dell'animo, infatti le virtù dovranno stare dove c'è accordo e unità: sono i vizi che non vanno d'accordo.

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"Ma anche tu" mi puoi dire "non coltivi la virtù per altro se non perché speri di ricavarne qualche piacere." Per prima cosa, anche se la virtù procurerà piacere, non è per questo che la si cerca. Infatti non procura piacere, ma "anche" piacere, e non si affatica per questo, ma la sua fatica, per quanto miri ad altro, ha come conseguenza anche questo. Come in un campo seminato a frumento nascono qua e là i fiori, ma non è per queste piantine (anche se sono belle da guardare) che è stata fatta tanta fatica (diverso era il proposito di chi seminava, il resto è venuto da sé), allo stesso modo il piacere non è il prezzo né la causa della virtù ma un suo accessorio e non piace perché diletta, ma, se piace, allora diletta. Il sommo bene consiste proprio nella convinzione e nel comportamento di una mente perfetta che, quando ha compiuto il suo corso e fissati i suoi limiti, ha pienamente realizzato il sommo bene e non desidera niente di più: fuori del tutto non esiste nulla, nulla oltre la fine. Per questo sbagli a chiedere il motivo che mi spinge ad aspirare alla virtù: cerchi qualcosa al di sopra di ciò che è sommo. Vuoi sapere cosa mi aspetto dalla virtù? La virtù. Infatti non ha nulla di più prezioso del suo stesso valore. Ti sembra poco? Se ti dico: "il sommo bene è la fermezza di un animo saldo e la sua previdenza e la sua elevatezza e il suo equilibrio e la sua libertà e la sua armonia e la sua dignità", pretendi ancora qualcosa di più grande cui riferire questi beni? Perché mi nomini il piacere? lo cerco il bene dell'uomo, non del ventre, che, del resto, è più capiente negli animali."

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"Travisi" mi puoi dire "quello che dico. Infatti, io affermo che non si può vivere con piacere se non si vive anche con onore, e questo non può accadere né agli animali né a chi misura la felicità dal cibo. Affermo con molta chiarezza che la vita che definisco piacevole non può che essere associata alla virtù." Ma chi è che non sa che sono proprio i più stolti a essere stracolmi dei vostri piaceri, che la malvagità è ricca di soddisfazioni e che l'animo stesso suggerisce tanti tipi di piaceri vergognosi? Prima di tutto l'arroganza e l'eccesso di stima di sé, l'orgoglio che disprezza tutti e l'amore cieco e incauto per le sue cose, l'esaltazione per i più piccoli e futili motivi e poi la maldicenza e la superbia che si compiacciono di offendere, l'inerzia e l'indolenza dell'animo che, fiaccato dalla profusione dei godimenti, si addormenta su se stesso. Tutto questo la virtù lo spazza via, ci dà una tiratina di orecchie, fa una valutazione dei piaceri prima di accettarli e non tiene neanche in gran conto quelli che approva: infatti non li accetta per goderseli, al contrario, si rallegra di poterli moderare? Siccome però la moderazione limita i piaceri, è un'offesa per il sommo bene. Tu il piacere lo tieni stretto, io lo tengo a freno. Tu godi del piacere, io me ne servo. Tu credi che sia il sommo bene, io neanche un bene. Tu fai tutto per il piacere, io niente."

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Quando dico che non faccio nulla per il piacere, mi riferisco a quel sapiente al quale soltanto concediamo il piacere. Ma non chiamo sapiente chi ha qualcosa sopra di sé, tantomeno il piacere. Perché, se è tutto preso da questo, come farà a resistere alla fatica, al pericolo, alla povertà e alle tante minacce che strepitano intorno alla vita umana? Come potrà sopportare la vista della morte, come i dolori, come il rumore del mondo e di nemici tanto violenti se cede davanti a un avversario così debole? "Farà tutto ciò che il piacere lo persuaderà a fare." Ma via, non vedi di quante cose lo persuaderà? "Non potrà persuaderlo di niente di turpe" puoi dire "perché è unito alla virtù." Ma ancora non vedi che razza di sommo bene è, se ha bisogno di un guardiano per essere un bene? Come potrà la virtù guidare il piacere mentre lo segue, se è ai subordinati che tocca seguire e ai comandanti guidare? Tu metti in coda chi comanda. Ha davvero un illustre incarico la virtù secondo voi: assaggiare i piaceri! Ma vedremo se la virtù, da loro così maltrattata, sarà ancora virtù, perché non può conservare il suo nome se ha abbandonato il suo posto. Intanto, per restare in argomento, ti mostrerò molti uomini assediati dai piaceri che la sorte ha coperto di tutti i suoi doni ma che, devi riconoscere, sono malvagi. Guarda Nomentano e Apicio che vanno a ricercare i beni (così li chiamano loro) della terra e del mare e fanno sfilare sulla mensa animali di ogni paese; li vedi che dal trono adorno di rose contemplano la loro tavola e si deliziano le orecchie al suono dei canti, gli occhi con spettacoli e il palato con ghiottonerie . Hanno tutto il corpo carezzato da stoffe morbide e delicate e, per evitare che le narici nel frattempo restino inerti, viene impregnato dei più svariati profumi il luogo dove la dissolutezza si celebra. Puoi dire che sono in mezzo ai piaceri, ma non ne ricaveranno un bene, perché non godono di un bene. 

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"Sarà male per loro" dirai "perché interverranno molte cose a sconvolgere l'animo e le opinioni contrastanti renderanno inquieta la inente." E' così, te lo concedo. Comunque, anche se stolti e volubili e soggetti al pentimento, proveranno grandi piaceri al punto che si deve ammettere che sono lontani allo stesso modo da qualsiasi inquietudine e serenità e, come succede ai più, sono preda di un'allegra follia e impazziscono dalle risate. Al contrario i piaceri dei saggi sono miti e pacati, quasi affievoliti, controllati e appena percettibili in quanto sopraggiungono senza che siano stati chiamati e, nonostante si presentino da sé, non sono accolti con onore né con particolare gioia da chi li riceve. Infatti il saggio li mescola con la vita come il gioco e il divertimento con le cose serie. La devono smettere, allora, di associare cose incompatibili e di confondere piacere e virtù. E' con questo vizio che lusingano gli uomini peggiori. Chi si è lasciato andare in mezzo ai piaceri e va ruttando sempre ubriaco, siccome sa di vivere col piacere, crede di vivere anche con la virtù: infatti sente dire che virtù e piacere non possono essere separati e così fregia i suoi vizi col nome di sapienza ed esibisce ciò che dovrebbe nascondere. Non è Epicuro che li spinge a essere dissoluti, sono loro che, dediti al vizio, nascondono in grembo alla filosofia la loro dissolutezza e si precipitano dove sentono che si loda il piacere. Non considerano però quanto sia sobrio e moderato il piacere di Epicuro (questo, per Ercole, è quello che penso io) ma accorrono al solo nome, sperando di trovare giustificazione e copertura per le loro dissolutezze. Così perdono anche l'unico bene che possedevano fra tanti mali: il pudore del peccato. Infatti lodano ciò per cui arrossivano e si vantano del vizio. E non può neppure risvegliarsi il pentimento, perché si è dato un nome nobile a una turpe ignavia. Per questo è pericolosa l'esaltazione del piacere, perché i nobili insegnamenti restano nascosti e le fonti di corruzione emergono. 

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Personalmente sono del parere (e lo esprimerò anche se i nostri compagni non sono d'accordo) che gli insegnamenti di Epicuro siano venerabili, retti, a ben guardare perfino austeri. Infatti il piacere è ridotto a una piccola ed esigua cosa e la stessa legge cui noi assoggettiamo la virtù, egli la impone al piacere: obbedire alla natura. E ciò che basta alla natura è certo poco per il vizio. E allora? Chiunque chiami felicità l'inoperosità oziosa e l'alternanza dei piaceri della gola e dei sensi, cerca un valido sostenitore della sua cattiva condotta e, quando si avvicina, attratto dal bel nome, non segue il piacere di cui ha sentito parlare ma quello che già portava con sé. Quando poi comincia a credere i suoi vizi conformi agli insegnamenti, indulge a questi non più timidamente e di nascosto, anzi, si lascia andare ormai senza pudore. Così non dirò, d'accordo con la maggior parte dei nostri, che la scuola di Epicuro è maestra di perdizione. Dico, piuttosto, che è screditata, che ha una cattiva fama e a torto. Chi può saperlo se non è un iniziato? E' anche il suo aspetto che dà luogo a dicerie e suscita speranze distorte. E' come quando un uomo forte si veste da donna: il tuo onore è intatto, la tua virilità è salva, il tuo corpo è libero da qualsiasi indecente tentazione, però hai in mano il tamburello. Occorre dunque scegliere un nome decoroso e un'insegna che di per sé sollevi l'animo, perché quella che c'è adesso attira i vizi. Chiunque si avvicina alla virtù si dimostra di indole nobile, chi invece segue il piacere è snervato, fiacco, degenerato, pronto ad abbandonarsi ai vizi più turpi se non gli si fa vedere una distinzione fra i piaceri in modo che sappia quali si mantengono nei limiti del bisogno naturale e quali sono sfrenati e senza fine, tanto più insaziabili quanto più si cerca di appagarli.

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Allora sia la virtù a precedere, così ogni passo sarà sicuro. E poi il piacere nuoce se è troppo, al contrario la virtù non c'è pericolo che sia troppa perché contiene in sé la misura. Non può essere un bene quello che risente della sua stessa grandezza. Inoltre, a coloro che hanno ricevuto in sorte una natura razionale, cosa si puo offrire di meglio della ragione? Se poi questo abbinamento risulta gradito, che si vada cioè insieme verso la vita felice, dovrà essere la virtù a precedere e il piacere a seguirla e a starle vicino come l'ombra al corpo. Ma fare della virtù (signora per eccellenza) la serva del piacere è proprio di un animo incapace di grandezza. La virtù vada avanti per prima e sia lei a portare le insegne. Avremo comunque il piacere ma potremo dominarlo e farne uso moderato: qualche volta ci indurrà a cedere ma mai potrà costringerci. Quelli che invece hanno messo al primo posto il piacere restano privi di tutti e due: la virtù la perdono e il piacere non sono loro a tenerlo in pugno, al contrario è il piacere che tiene in pugno loro perché se manca li tormenta, se è in eccesso li soffoca. Infelici se li abbandona, ancor più infelici se li travolge. Come chi viene sorpreso dalla tempesta nel mar delle Sirti, o finisce come un relitto sulla riva o resta in balìa della violenza delle onde. E' questo il risultato della troppa intemperanza e dell'amore cieco per qualche cosa. Infatti chi preferisce il male al bene corre dei rischi se ottiene il suo scopo. Con fatica e non senza pericolo andiamo a caccia di fiere e, anche dopo averle catturate, dobbiamo stare molto attenti perché spesso sbranano i padroni; così sono i grandi piaceri: vanno a finire in grandi disgrazie e chi li possiede ne è posseduto. E poi, quanto più sono numerosi e grandi tanto più è meschino e servo di più padroni l'uomo che il volgo chiama felice. Mi sembra bello soffermarmi ancora su questa immagine di caccia: chi va a stanare belve e considera gran cosa "prendere le bestie coi lacci" e "accerchiare coi cani ampie radure" per seguirne le tracce, viene meno a impegni molto più importanti e lascia da parte molti doveri. Così chi insegue il piacere lo antepone a tutto il resto e trascura, per prima, la libertà facendola dipendere dalla gola e non si compra i piaceri, si vende ai piaceri. 

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"Tuttavia" dirai "che cosa impedisce di fondere insieme virtù e piacere in modo che il sommo bene risulti allo stesso tempo dignitoso e piacevole?" Ma una parte di dignità non può non essere degna e inoltre il sommo bene non sara più integro se vedrà al suo interno qualche elemento meno che ottimo. Neppure la gioia che deriva dalla virtù, per quanto sia un bene, fa parte del bene assoluto e così la letizia e la tranquillità, anche se nascono dalle più nobili cause. Infatti è certo che questi sono beni ma non realizzano il sommo bene, ne sono solo la conseguenza. Chi mischia la virtù col piacere anche se non alla pari, indebolisce il vigore che c'è in un bene con la fragilità di un altro e manda sotto il giogo la libertà, che è imbattibile se non conosce qualcosa di più prezioso di se stessa. Infatti si comincia ad aver bisogno del favore della sorte e questa è la peggiore schiavitù. Ne consegue una vita piena di ansie, sospetti e trepidazioni, timorosa degli eventi e condizionata dalle circostanze. Tu non offri alla virtù una base solida e stabile, anzi, la costringi a una condizione precaria. E cosa c'è di più precario dell'attesa di eventi accidentali e della mutevolezza delle condizioni fisiche e di quello che sul corpo influisce? Come è possibile che quest'uomo possa obbedire a Dio, accettare di buon animo ogni evenienza, non lamentarsi del suo destino e trovare il lato positivo in ogni situazione se anche il più piccolo stimolo piacevole e doloroso può sconvolgerlo? E non può essere neppure un buon difensore o salvatore della patria né proteggere gli amici se tende al piacere. Dunque, il sommo bene deve salire fino a un luogo da cui nessuna forza possa farlo precipitare e a cui non abbiano accesso dolore speranza e timore né alcuna altra emozione che possa intaccare il valore del sommo bene. Ma soltanto la virtù può salire fin là. Dovrà vincere questa salita col suo passo, terrà duro e sopporterà ogni evento non con rassegnazione ma di buon grado, ben sapendo che le avversità della vita sono una legge di natura e, da buon soldato, sopporterà le ferite, conterà le cicatrici e, anche in punto di morte, trafitto dalle frecce, amerà il comandante per cui è caduto. Avrà sempre in mente l'antica massima: segui Dio. Invece chi si lamenta, piange e si dispera è costretto a forza a eseguire gli ordini ed è obbligato lo stesso a obbedire, anche controvoglia. Ma che sciocchezza è questa di farsi trascinare invece di seguire? Così, per Ercole, è stupidità e incoscienza della propria condizione affliggerti se qualcosa ti manca o ti è difficile da sopportare e stupirsi o indignarsi di quanto capita ai buoni come ai malvagi: intendo malattie, lutti, infermità e tutte le altre traversìe della vita umana. Affrontiamo dunque, con grande forza d'animo, tutto quello che per legge universale dobbiamo sopportare. E' un dovere che siamo tenuti ad assolvere: accettare le sofferenze umane e non lasciarsi sconvolgere da quello che non è in nostro potere evitare. Siamo nati sotto una monarchia: obbedire a Dio è l'unica libertà possibile.

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Dunque la vera felicità risiede nella virtù. Ma quali consigli ti darà questa virtù? Di considerare bene solo ciò che è legato alla virtù e male ciò che è legato alla malvagità. Poi di restare ben saldo di fronte al male e al seguito del bene in modo da imitare Dio nei limiti del possibile. E che premio ti promette per questa impresa? Privilegi grandi e degni degli dei: non sarai costretto a nulla, non avrai bisogno di nulla, sarai libero sicuro e inviolabile, non tenterai niente invano e non sarai mai ostacolato, tutto andrà secondo il tuo desiderio, nulla ti sarà avverso né contrario al tuo intento e alla tua volontà. "Allora basta la virtù per essere felici?" Perfetta e divina com'è, perché non dovrebbe essere sufficiente, anzi più che sufficiente? Cosa può mancare infatti a chi è al di là di ogni desiderio? Di cosa può aver bisogno dall'esterno chi ha raccolto tutto in se stesso? Ma chi ancora non ha raggiunto la virtù, anche se ha fatto molta strada, ha bisogno che la sorte gli sia benevola finché si dibatte in mezzo ai difetti umani e non riesce a sciogliere questo nodo e ogni vincolo mortale. Allora che differenza c'è? Che questi sono ben bene legati stretti e incatenati e invece a chi ha cercato di arrivare più in alto si è allentata la catena e anche se non è ancora libero è come se già lo fosse. 

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 A questo punto qualcuno di quelli che abbaiano contro la filosofia ripeterà il solito ritornello: "Perché c'è più coraggio nei tuoi discorsi che nella tua vita? Perché abbassi la voce di fronte ai superiori, consideri il denaro una necessità, ti lasci abbattere dalle sconfitte, piangi se ti muore la moglie o un amico, ci tieni al tuo buon nome e sei sensibile alle insinuazioni? Perché le tue terre producono più di quanto richiede la tua necessità? Perché i tuoi pasti non sono coerenti con le tue teorie? Perché hai suppellettili così raffinate? Perché a casa tua si beve vino più vecchio di te? Perché ti sei fatto costruire un'uccelliera? Perché hai fatto piantare alberi che daranno solo ombra? Perché tua moglie porta appeso alle orecchie un valore pari a tutto il patrimonio di un ricco casato? Perché i tuoi giovani schiavi indossano vesti tanto eleganti? Perché a casa tua servire a tavola è un'arte e non si dispone l'argenteria come capita, ma con estrema perizia, e c'è addirittura un esperto per il taglio delle vivande?". Se vuoi puoi anche proseguire: "Perché hai proprietà oltre mare e non sai neppure quante? Ma che vergogna: o sei così trasandato da non conoscere i pochi schiavi che hai, o sei talmente ricco che ne hai più di quanti puoi ricordare". Più tardi rincarerò da me la dose e farò un elenco dei miei difetti che neanche immagini; per ora ti risponderò così: non sono saggio e (così mi dò in pasto da solo alla tua ostilità) mai lo sarò. E' questo che puoi pretendere da me: non che io sia all'altezza dei migliori, ma migliore dei peggiori. Mi basta togliere un po' di terreno ai miei vizi tutti i giorni e castigare i miei difetti. Non sono guarito e non guarirò. Infatti non mi preparo medicamenti per la gotta ma solo calmanti, ben contento se gli attacchi sono meno frequenti e i dolori meno atroci. Certo, in confronto alla vostra andatura, anche se debilitato, sono un velocista. Ma non parlo per me che sono in un mare di vizi, parlo per chi ha già raggiunto qualche risultato. 

18

Dirai: "Parli in un modo e agisci in un altro". Questo, lingue biforcute velenose e ostili alle persone più degne, è stato contestato anche a Platone, a Epicuro e a Zenone. Dicevano tutti di vivere non come loro vivevano, ma come loro stessi avrebbero dovuto. Parlo della virtù, non di me, e quando condanno i vizi, per primi condanno i miei. Appena potrò, vivrò come si deve. Non sarà la vostra velenosa malignità a dissuadermi dalle più alte ambizioni, né il veleno che sputate addosso agli altri, e che però uccide voi, mi impedirà di continuare a lodare non la vita che conduco ma quella che so bene dovrei condurre, a onorare la virtù e a seguirla anche arrancando da lontano. Forse dovrei sperare che scampi qualcosa a quella cattiveria che non ha risparmiato neanche Rutilio e Catone? Ma vale proprio la pena di non sembrare troppo ricco a chi pensa che Demetrio, il cinico, non è povero abbastanza? Anche di un uomo così risoluto nella lotta contro tutte le esigenze naturali e più povero di tutti gli altri cinici, perché non solo si privava di possedere ma persino di chiedere, dicono che non è povero abbastanza. Lo vedi da te: non ha professato la teoria della virtù ma della povertà.

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Di Diodoro, il filosofo epicureo che si è suicidato qualche giorno fa, dicono che a tagliarsi la gola non ha rispettato gli insegnamenti di Epicuro: c'è chi dice il suo gesto folle chi sconsiderato. Intanto lui, beato, con la coscienza tranquilla ha lasciato con la vita anche la sua testimonianza e ha lodato la quiete di tutta un'esistenza trascorsa ormeggiato nel porto. Ha pronunciato parole che avete ascoltato malvolentieri, quasi vi si fosse chiesto di fare altrettanto: "Ho vissuto, ho compiuto il cammino che la sorte mi ha dato". State a discutere della vita di uno, della morte di un altro e quando sentite nominare qualcuno che ha meritato di essere riconosciuto grande, abbaiate come cagnolini che sentono avvicinarsi qualche estraneo. La verità è che vi fa comodo se non ne risulta buono neanche uno, perché vi sembra che la virtù degli altri rinfacci delle colpe a voi. Per invidia paragonate la loro grandezza alle vostre meschinità e non capite quanto vi danneggia la vostra insolenza. Ora, se gli uomini che aspirano alla virtù sono avari, dissoluti e ambiziosi, che cosa siete mai voi che la virtù non sopportate neppure di sentirla nominare? Sostenete che nessuno di loro fa quello che dice e non vive in conformità con le sue parole. Non è strano: le loro sono parole eroiche, grandiose e superiori a tutte le tempeste umane. Anche se non riescono a staccarsi dalle croci su cui ognuno di voi conficca i suoi chiodi, tuttavia, quando sono condotti al supplizio, pendono ciascuno da un solo palo. Invece questi che badano soltanto a se stessi, hanno una croce per ogni passione. Ma i maldicenti si fanno belli a offendere gli altri. Potrei credere che non abbiano questo difetto se non ci fosse chi sputa sul pubblico anche dalla forca.

20

"I filosofi non fanno quello che dicono." E invece fanno già molto a dire quello che dicono e che pensano onestamente. Se poi il comportamento fosse all'altezza delle parole, chi sarebbe più felice di loro? Intanto non sono da disprezzare le parole buone e l'animo colmo di buone intenzioni. Coltivare benefiche inclinazioni è coniunque lodevole al di là del risultato. Niente di strano se non arriva in cima chi ha tentato una scalata difficile. Se sei un uomo guarda con rispetto a chi si cimenta in grandi prove, anche se fallisce. Un animo nobile, senza contare sulle proprie forze, ma su quelle che la sua natura gli può fornire, cerca di mirare in alto e di concepire progetti irrealizzabilí per chi non abbia un animo davvero grande. Chi si è proposto questo: "guarderò in faccia la morte con lo stesso stato d'animo che ho quando ne sento parlare, sopporterò qualsiasi fatica con forza d'animo, disprezzerò le ricchezze, ci siano o non ci siano e non sarò più triste o più superbo a seconda che brillino intorno a me o altrove. Tratterò con indifferenza la sorte favorevole e quella avversa. Guarderò tutte le terre come se fossero mie, le mie come se fossero di tutti. Vivrò nella convinzione di essere nato per gli altri e ringrazierò la natura per questo: come avrebbe potuto agire meglio nel mio interesse? Ha dato me a tutti gli altri e tutti gli altri a me solo. Se poi avrò qualcosa non sarò spilorcio ma neanche scialacquatore. Crederò veramente mio quello che ho fatto bene a donare e non valuterò i benefici dal numero o dal peso ma dalla stima che avrò per chi li riceve: non sarà mai troppo quello che potrò dare a chi lo merita. Farò tutto secondo coscienza senza basarmi sull'opinione degli altri e, anche se sarò solo io a sapere quello che faccio, mi comporterò come se tutti mi potessero vedere. Mangerò e berrò soltanto per soddisfare i miei bisogni naturali e non per riempirmi e svuotarmi lo stomaco. Sarò affabile con gli amici e mite e indulgente con i nemici. Cercherò di prevenire ogni richiesta dignitosa e di anticipare ogni preghiera. Considererò il mondo la mia patria e gli dei la mia guida, loro che sempre sono presenti e giudicano ogni mio gesto e ogni mia parola. E quando la natura verrà a riprendersi la mia anima o sarà la ragione a decidere di lasciarla libera, me ne andrò potendo dire di aver sempre amato la rettitudine morale e i nobili intenti senza aver mai limitato la libertà di nessuno e tanto meno la mia". Chi si prefiggerà questi obiettivi, desidererà di raggiungerli e farà tutto il possibile, percorrerà la strada che porta al cielo e, anche se non conquisterà la vetta, tuttavia è caduto nel mezzo di una grande impresa. Ma voi che odiate la virtù e chi la coltiva non fate davvero niente di nuovo. Anche chi ha problemi agli occhi non sopporta la luce e gli animali notturni evitano lo splendore del giorno. Non appena sorge il sole corrono a nascondersi nelle loro tane e, per timore della luce, si rifugiano in qualche fessura. Lagnatevi, sprecate il fiato a insultare i buoni, spalancate la bocca, mordete: vi spezzerete i denti senza neppure lasciare il segno.

21

Com'è che quel tale è dedito alla filosofia eppure è tanto ricco? Perché dice che si devono disprezzare i beni materiali, però ne ha, giudica spregevole la vita, però è vivo, spregevole la salute, però cerca di preservarla con ogni riguardo e la desidera perfetta? E perché, ancora, giudica l'esilio una parola senza senso e dice: "Che male c'è a cambiare paese?" però, se gli riesce, invecchia in patria?" E ancora, sostiene che non c'è nessuna differenza tra una vita lunga e una breve, però, se niente glielo impedisce, cerca di vivere il più a lungo possibile e di mantenersi vigoroso e sereno durante la lunga vecchiaia?Afferma che tutte queste sono cose spregevoli, non nel senso che non si debbano possedere ma possedere senza ansie, non le respinge ma, se svaniscono, va avanti tranquillo. D'altra parte la sorte dove meglio metterà al sicuro le ricchezze se non dove potrà andarle a riprendere senza che chi le restituisce si lamenti? Marco Catone, anche se lodava Curio e Coruncanio e i bei tempi in cui possedere un po' d'argenteria era un reato punito dai censori, aveva di suo quattro milioni di sesterzi: senza dubbio meno di Crasso ma più di Catone il censore. Per fare un paragone, aveva superato il bisnonno più di quanto Crasso avesse superato lui e, se anche gli fosse capitato di entrare in possesso di altri beni, certo non li avrebbe rifiutati. Infatti il saggio non crede di non meritare i doni della sorte: non ama le ricchezze ma le accetta volentieri, le lascia entrare nella sua casa non nella sua anima e non le respinge, anzi, le tiene e fa in modo che offrano maggiori occasioni alla sua virtù.

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Infatti non c'è dubbio che si presentino al saggio maggiori occasioni di sviluppare le sue attitudini nella ricchezza che nella povertà. Nella povertà l'unica possibile virtù sta nel non farsi piegare o schiacciare, nella ricchezza, invece, hanno campo libero temperanza, generosità, accortezza, ordine e magnificenza. Il saggio non avrà poca stima di sé se sarà di bassa statura, tuttavia desidererà essere alto. Anche se gracile e privo di un occhio manterrà la consapevolezza del suo valore, preferirà tuttavia essere robusto, senza però dimenticare che i valori che ha in sé sono ben altri. Sopporterà la malattia ma si augurerà la salute. Infatti ci sono molte cose che, anche se nel complesso risultano di poco conto e possono venire a mancare senza danno per il bene principale, tuttavia procurano qualche vantaggio alla serenità duratura che deriva dalla virtù. Così le ricchezze sono gradite al saggio: come un vento favorevole ai naviganti, come una giornata di sole nel freddo dell'inverno. E poi nessuno tra i sapienti (intendo fra i nostri per cui la virtù è l'unico vero bene) sostiene che anche questi vantaggi, che definiamo indifferenti, non abbiano un loro proprio valore e che alcuni non siano preferibili ad altri: li consideriamo di maggiore o minore pregio. Non ti ingannare: la ricchezza è tra i vantaggi più desiderabili. "Allora" dirai "perché mi deridi se per te ha la stessa importanza che per me?". Vuoi vedere che non è proprio la stessa importanza? Se le mie ricchezze dovessero svanire, non mi porteranno via altro che loro stesse, tu, invece, resterai stordito e ti sentirai privato di te stesso, se ti dovessero abbandonare: per me le ricchezze hanno una certa importanza, per te una grandissima. Infine le ricchezze appartengono a me, tu, al contrario, appartieni a loro.

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Smettila, dunque, di vietare ai filosofi  di possedere denaro: nessuno ha condannato la saggezza alla povertà. Il filosofo potrà possedere grandi ricchezze purché non siano rubate, macchiate di sangue, frutto di ingiustizie o di sporchi guadagni. Le uscite siano pulite come le entrate in modo che nessuno, a parte i maligni, si potrà lamentare. Accumulane quante ne vuoi: sono pulite perché non ce ne sarà nessuna che qualcuno potrebbe dir sua, anche se ce ne saranno molte che chiunque vorrebbe dir sue. Di certo il saggio non respingerà il favore della sorte e non si vanterà né si vergognerà di un patrimonio onestamente acquisito. E avrà anche motivo di vantarsi se, aperta la sua casa e invitata tutta la città a vedere i suoi beni, potrà dire: "se uno di voi riconosce qualcosa di suo se lo porti via". O uomo davvero grande e giustamente ricco, se dopo questo invito avrà quello che aveva prima! Voglio dire che, se in piena tranquillità e senza preoccupazioni avrà consentito al popolo di indagarlo e se nessuno avrà trovato nulla da rivendicare, allora potrà essere ricco con orgoglio e a testa alta. Il saggio non lascerà entrare in casa sua danaro sospetto ma, con lo stesso criterio, non rifiuterà di certo ricchezze, anche grandi, dono della sorte e frutto della virtù. Perché poi dovrebbe privarle di una degna sistemazione? Vengano pure: saranno ben accette. Non le ostenterà ma neanche le terrà nascoste: in un caso è da sciocchi, nell'altro da meschini e pusillanimi che credono di avere per le mani un gran bene però, come ho già detto, non le metterà alla porta. Cosa dovrebbe dire: "Siete inutili" o forse "io non sono capace di amministrare le ricchezze?". Come, anche potendo fare un percorso a piedi, preferirà farlo su un mezzo, così non vorrà certo essere povero se potrà essere ricco. Ma terrà le sue ricchezze consapevole che sono leggere e volatili e non lascerà che diventino un peso né per gli altri né per sé. Sarà generoso, non drizzate le orecchie non stendete la mano, sarà generoso con chi ne è degno o con chi ha la possibilità di diventarlo, scegliendo con la massima cura i più meritevoli perché sa che bisogna render conto sia delle uscite che delle entrate. Sarà generoso nelle giuste occasioni, infatti un dono sbagliato è un inutile spreco, avrà la manica larga non le mani bucate da cui esce molto ma niente va perso.

24

Sbaglia chi pensa che donare sia facile: tutt'altro, presenta grandi difficoltà se lo si fa in modo sensato e non a caso o per istinto. Con qualcuno vado a credito, con qualcun altro mi sdebito, a questo vengo incontro,di questo, invece, ho compassione. Do un aiuto a quell'altro che non merita che la fame gli impedisca di pensare, a questo invece non darò proprio niente anche se ne avrebbe bisogno perché, per quanto possa dargli, gli mancherà sempre qualcosa. Con qualcuno poi mi limiterò a offrire, altri insisterò perché accettino. Non posso dare con leggerezza perché quando dono faccio il mio migliore investimento. Dirai: "Allora dai per ricevere?". "No, per non perdere": si deve fare in modo che un dono non debba essere rinfacciato ma possa essere restituito. Il favore va trattato come un tesoro che si tiene gelosamente nascosto e non si tira fuori se non è proprio necessario. E poi anche la casa stessa dell'uomo ricco offre infinite occasioni di fare del bene. Chi dice che bisogna essere generosi solo con la gente di rango? La natura mi impone di fare del bene agli uomini, schiavi o liberi che siano, nati liberi o no. Che differenza fa se è una libertà legale o concessa per amicizia? Dove c'è un uomo c'è anche la possibilità di fare del bene. Si possono fare elargizioni in danaro anche tra le mura di casa ed esercitare la liberalità, che non si chiama così perché è rivolta a uomini liberi ma perché scaturisce da un animo libero. L'uomo saggio non rivolge mai la sua generosità verso chi non la merita, ma la sua fonte è inesauribile ogni volta che incontra qualcuno che invece la merita. Pertanto, non è possibile che fraintendiate le parole rette forti e coraggiose di colui che persegue la saggezza. Ma state bene attenti: una cosa è cercare di diventare saggi e un'altra esserlo. Quello dirà: "Parlo bene ma mi dibatto ancora tra moltissime difficoltà. Non mi puoi mettere a confronto con i miei princìpi quando io faccio del mio meglio, cerco di migliorare e aspiro a un ideale davvero grande. Solo quando avrò fatto i progressi che ho intenzione di fare potrai confrontare quello che dico con quello che faccio". Chi invece sarà arrivato alla perfezione parlerà diversamente: "Prima di tutto non ti puoi permettere di dar giudizi su chi è migliore di te". Finisco per essere malvisto dai malvagi e già questa è la prova che sono nel giusto. Ma per darti una spiegazione, che non si nega a nessuno, ascolta quello che sto per dirti e che valore do io a ciascuna cosa. Dico che le ricchezze non sono beni: se lo fossero farebbero diventare buoni. Ora, mi rifiuto di definire bene ciò che si può trovare anche tra persone malvagie. D'altra parte sono convinto che possederle sia lecito, utile e che migliori la qualità della vita.

25

Allora ascoltate perché non includo le ricchezze fra i beni e perché il mio comportamento nei riguardi di queste è così diverso dal vostro (ormai che si è convenuto che possederle è lecito). Mettimi in una casa che più ricca non si può, dove non si fa differenza tra oro e argento: non penserò per questo di valere di più. Infatti le ricchezze stanno intorno a me, non sono parte di me. Ora cambiami di posto e sbattimi sul ponte Sublicio in mezzo ai poveri: non penserò per questo di valere di meno solo perché sto in mezzo a quelli che chiedono l'elemosina. E allora, cosa cambia? Non hanno un tozzo di pane ma non gli è tolto di poter vivere. In conclusione, preferisco una casa splendida a un ponte. Circondami di mobili pregiati, di raffinate suppellettili, non mi crederò più fortunato perché posso adagiarmi sul morbido o perché faccio sedere i miei convitati sulla porpora. Cambiami il materasso: non sarò più infelice se potrò distendere le membra stanche sopra un po' di fieno o se potrò dormire su un pagliericcio da circo che magari perde l'imbottitura dai rammendi della tela vecchia. Anche qui, preferisco esprimere il mio parere calzato e vestito. Supponiamo che tutti i miei giorni si susseguano secondo le mie speranze e che nuove gioie subentrino sempre alle precedenti, non per questo mi compiacerò di me stesso. Ribalta ora questa favorevole situazione e il mio animo sia colpito da ogni parte da disgrazie, lutti e avversità di ogni genere. Ogni istante sia nuovo motivo di pianto: non per questo penserò di essere infelice, pur in mezzo ad avvenimenti così infelici, non maledirò neanche un giorno della mia vita. Ho predisposto il mio animo in anticipo in modo che anche il giorno più tetro non riuscisse a turbarlo. Comunque preferisco dover moderare il piacere che lenire il dolore. Dirà Socrate: "Immaginami vincitore di tutto il mondo mentre l'elegante carro di Libero mi porta in trionfo dall'Oriente fino a Tebe, immagina tutti i re che mi consultano: non dimenticherò che sono un uomo proprio mentre mi osannano come un dio. Di colpo, da queste altezze, fammi precipitare nella più profonda rovina: caricami su un carretto come ornamento per la parata di un vincitore fiero e superbo. Non mi riterrò più umile dietro al carro di un altro di quando stavo in piedi sul mio. Però preferisco vincere che esser fatto prigioniero. Disprezzerò la sorte con tutti i suoi domini ma, se mi sarà permesso di scegliere, prenderò il meglio. Qualsiasi cosa mi capiterà sarà un bene per me, ma sarà meglio se si tratterà di eventi lieti e piacevoli e che procurino il minor numero di disagi. Certo non crederai esista una virtù senza fatica, solo che con alcune virtù servono sproni, con altre freni. Nello stesso modo c'è bisogno in discesa di trattenere il corpo, di spingerlo in salita. Non c'è dubbio che costanza, tenacia e perseveranza comportino fatica, sforzo e resistenza come qualsiasi altra virtù che si opponga alle avversità e tenti di piegare la sorte. Ed è altrettanto chiaro che liberalità, temperanza e mansuetudine vanno in discesa. Qui dobbiamo frenare l'animo perché non scivoli, là dobbiamo spingerlo e incitarlo con forza. Dunque per la povertà dovremo utilizzare le virtù più forti nella lotta, per le ricchezze quelle più prudenti, che procedono con cautela e che non perdono l'equilibrio. Stabilita questa differenza, preferisco avere a che fare con quelle che possono essere coltivate in tranquillità invece che con quelle che richiedono sudore e sangue. Insomma (dice il saggio) non sono io che parlo in un modo e vivo in un altro, siete voi che capite una cosa per un'altra: sentite solo il suono delle parole senza comprenderne il senso".

26

"Che differenza c'è, allora, tra me sciocco e te saggio, se tutti e due miriamo al possesso?" Enorme: infatti le ricchezze sono al servizio del saggio e al comando dello sciocco. Il saggio non permette niente alle ricchezze, quelle a voi tutto. Voi, come se qualcuno ve ne avesse assicurato il possesso eterno, ci fate l'abitudine e vi ci attaccate, invece il saggio pensa alla povertà proprio quando si trova in mezzo alla ricchezza. Mai un generale si fida della pace al punto da non tenersi pronto per una guerra che, anche se non si combatte ancora, è già dichiarata. Basta a farvi diventare arroganti una bella casa, come se non potesse andare a fuoco o crollare. Le ricchezze vi inebriano perché pensate possano superare qualsiasi ostacolo e che la sorte non abbia armi per annientarle, così invincibili come sembrano a voi. Spensierati, ve la spassate tra le ricchezze senza nessun presentimento del pericolo, come fanno di solito i barbari assediati che, non conoscendo l'uso delle macchine da guerra, stanno a guardare indifferenti l'affaccendarsi degli assedianti e non capiscono a cosa servono quelle costruzioni realizzate a distanza. Così succede a voi: vi infiacchite in mezzo ai vostri averi e non pensate a quante sventure incombono da ogni parte e stanno già per strapparvi la preziosa preda. Chiunque potrà portare via le ricchezze all'uomo saggio, ma non togliergli i suoi veri beni, perché egli vive lieto nel presente e incurante del futuro. Dice Socrate o un altro di pari autorevolezza, se si parla di vicende umane: "Ho una profonda convinzione: il mio comportamento non può essere condizionato dai vostri giudizi. Rivolgetemi i soliti attacchi, non penserò che mi insultate ma che piagnucolate come lattanti". Parlerà così chi ha raggiunto la saggezza perché, libero da vizi, si sente spinto a rimproverare gli altri, e non per astio, ma anzi a fin di bene. E aggiungerà: "Le vostre critiche mi colpiscono, ma non per me, per voi, perché se continuate a imprecare contro la virtù e a perseguitarla allora non vi rimane nessuna speranza. A me non fate nessun affronto. Infatti neppure chi distrugge gli altari fa torto agli dèi, ma sono chiare le sue cattive intenzioni anche se non può nuocere. Tollero le vostre idiozie come Giove Ottimo Massimo le sciocchezze dei poeti: uno gli mette le ali, un altro le corna, un altro ancora lo rappresenta come un adultero che va in giro di notte, uno implacabile con gli dèi, un altro iniquo con gli uomini e ancora uno sequestratore di uomini liberi e perfino di parenti, un altro parricida e usurpatore del regno paterno. A credere tali gli dèi, non hanno fatto altro che togliere agli uomini il pudore del peccato." Ma anche se neppure mi scalfite lo dico per voi: guardate con ammirazione alla virtù, fidatevi di quelli che, dopo averla perseguita a lungo, affermano che si tratta di qualcosa di grande e che diventa ogni giorno più grande. Anzi veneratela come gli dèi e venerate i suoi maestri come i sommi sacerdoti e tutte le volte che saranno nominati i testi sacri acconsentite in silenzio. Questo modo di dire non va inteso (come credono i più) nel senso di acconsentire davvero, semplicemente impone il silenzio in modo che il rito si possa celebrare secondo le regole e senza schiamazzi oltraggiosi. Infatti è davvero necessario che vi sia imposto, così, quando l'oracolo darà qualche responso, potrete ascoltare con attenzione e a bocca chiusa. Quando qualcuno agita il sistro e racconta frottole su commissione, quando qualche impostore finge di ferirsi le membra e si insanguina appena appena braccia e spalle, oppure quando una donna si trascina per strada sulle ginocchia e urla o un vecchio bardato di lino e di alloro, con in mano una lucerna, in pieno giorno, grida che qualche dio è adirato, voi accorrete e siete pronti a giurare che è ispirato dagli dèi, alimentando così uno lo sbalordimento dell'altro.

27

Ed ecco Socrate che dal carcere, purificato dalla sua presenza e reso più onorabile di qualsiasi curia, proclama: "Che follia è questa, che istinto avverso agli uomini e agli dèi, di disonorare la virtù e con voci maligne profanare cose sacre? Se potete, lodate le persone virtuose, se non potete, astenetevi. Se però vi piace far mostra della vostra vergognosa insolenza, insultatevi fra voi. Quando vi infuriate contro il cielo, non dico che commettete un'empietà, ma che sprecate fatica. Un tempo ho dato modo ad Aristofane di prendersi gioco di me. Tutta quella banda di poeti comici mi ha scagliato contro le sue battute velenose: ma la mia virtù ha acquistato splendore proprio grazie ai colpi che hanno cercato di ferirla. Infatti le ha giovato essere messa in mostra e alla prova e nessuno ne ha capito il valore come chi, non dandole tregua, ne ha sperimentato la forza. Nessuno come i tagliapietre conosce la durezza della roccia. Dimostro di essere come uno scoglio solo in mezzo a una secca che le onde flagellano continuamente da ogni parte, ma neanche secoli di ripetuti assalti possono smuoverlo o scalfirlo. Assalitemi dunque, attaccatemi: vi vincerò sopportandovi. Chi si scaglia contro uno scoglio irremovibile e insuperabile rivolge la forza a suo danno. Perciò cercate un bersaglio molle e cedevole dove conficcare le vostre frecce. Ma voi avrete il tempo di andare a scovare i difetti degli altri e di dar giudizi su chiunque: "Perché questo filosofo ha una casa così grande? Perché questo offre pranzi così eleganti?". State a guardare i brufoli degli altri e voi siete pieni di piaghe. E' come se uno divorato da una scabbia tremenda deridesse nei e verruche in un corpo perfetto. Biasimate Platone perché ha mirato al danaro, Aristotele perché lo ha accettato, Democrito perché non l'ha tenuto in nessun conto, Epicuro perché ne ha fatto spreco. Anche a me rinfacciate Alcibiade e Fedro, però sareste felicissimi appena vi capitasse di imitare i miei vizi. Perché piuttosto non guardate ai vostri difetti che vi assillano, a volte colpendo dall'esterno a volte bruciandovi nelle viscere? Non dura così a lungo la vita umana (anche se voi non siete consapevoli della vostra condizione) da lasciare il tempo per dar fiato ai denti offendendo chi è migliore di voi".

28

Questa è una cosa che voi non capite e assumete un atteggiamento che non si addice alla vostra condizione, come tutti quelli che stanno senza far nulla al circo o a teatro e ancora non sanno che, intanto, la loro casa è in lutto. Ma io, che guardo dall'alto, vedo quante tempeste minacciano di rovesciarsi a momenti su di voi con i loro nembi o, ormai vicinissime, stanno per trascinare via voi e le vostre ricchezze. E non tra poco, già ora, anche se non ve ne accorgete, un vortice travolge le vostre anime, che anche mentre cercano di sfuggire non rinunciano ai loro desideri e ora vengono sollevate in alto, ora sprofondate nell'abisso.

 

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