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Cicerone, De re publica I 25 segg.
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«Lo Stato
- disse l'Africano - è ciò che appartiene al popolo. Ma non è popolo ogni moltitudine
di uomini riunitasi in modo qualsiasi, bensì una società organizzata che ha per
fondamento l'osservanza della giustizia e la comunanza d'interessi. La causa prima che
spinge gli uomini ad unirsi non è tanto il bisogno di reciproco aiuto, quanto piuttosto
una naturale inclinazione a vivere insieme, poiché il genere umano non è composto di
singoli individui che vivano isolati, ma di esseri che neppure nella più grande
abbondanza di beni... |
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...non si
trovino quasi i germi della giustizia e delle altre virtù e presso le quali non si trovi
alcuna forma di organizzazione politica. Queste comunità dunque, costituitesi per il
motivo da me prima esposto, scelsero dapprima in luoghi adatti la sede ove fissare i
domicili, che munirono con difese naturali e con opere di fortificazione; e
quell'aggregato di case, diviso da aree consacrate al culto e da piazze comuni, chiamarono
castello o città. Ogni popolo dunque, che è, come dissi, unione di cittadini con leggi e
interessi comuni; ogni associazione politicamente costituita; ed ogni Stato, vale a dire
quanto riguarda ed appartiene alla comunità, per essere stabile, deve essere retto da una
autorità giudicante, che sempre si conformi allo scopo per cui lo Stato fu costituito. Il
governo quindi deve essere affidato o ad un uomo solo o ad uomini scelti; oppure deve
essere assunto da tutto il popolo. Quando tutto il potere è nelle mani di un uomo solo,
noi chiamiamo re colui che governa, e regno tale forma di costituzione politica. Diremo
invece che uno Stato è governato dai migliori, quando sono al potere gli uomini più
autorevoli e illustri; e infine che una costituzione è democratica quando il potere è
esercitato dal popolo. Nessuna di queste tre forme di governo, pur mantenendo il vincolo
che unisce tra loro gli uomini in una società politicamente costituita, può essere
perfetta, né, a mio avviso, la migliore; ma ognuna di esse è tuttavia tollerabile e tale
che, in determinati casi, possa preferirsi ad un'altra. Abbia infatti il potere un re
giusto e saggio, oppure siano al governo cittadini scelti o il popolo stesso, condizione
per nulla augurabile, uno Stato può avere una condizione politica di stabilità, purché
non intervengano iniquità e cupidigie. |
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Tuttavia,
nei regimi monarchici la massa dei cittadini è esclusa dall'esercizio dei diritti
politici e dal governo della cosa pubblica; i governi aristocratici, d'altra parte,
sopprimono quasi del tutto la libertà, perché privano il popolo di una effettiva
partecipazione alle deliberazioni pubbliche e al potere politico; nelle democrazie infine,
dove tutti i poteri sono esercitati dal popolo, l'eguaglianza stessa dei diritti politici
è di per sé stessa ingiusta, perché non ammette distinzioni secondo i meriti
individuali. Pertanto se il persiano Ciro fu un sovrano giusto e saggio, non mi pare che
quella forma di governo sia stata la più desiderabile, perché lo Stato, come ho già
detto, è ciò che riguarda e appartiene a tutti i cittadini, mentre là tutto dipendeva
dallavolontà di un uomo solo; se i Marsigliesi, nostri clienti, sono governati con alto
senso di giustizia da un senato oligarchico, il popolo tuttavia si trova quasi in
condizione di servitù; lo Stato ateniese infine perdette il suo decoro e il suo più
bell'ornamento quando, soppresso il consiglio dell'Areopago e governandosi attraverso
plebisciti e decreti, fu abolita ogni differenza di onorie di poteri tra i singoli
cittadini. |
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Intendo
riferirmi a quelle tre forme di governo, che non siano turbate e corrotte, ma conservino
un loro stabile equilibrio. Ma ognuna di esse, presa singolarmente, ha in sé i difetti
dei quali ho parlato prima; ed è inoltre esposta ad altri rischi e pericoli, poiché
tutte possono rapidamente e bruscamente degenerare in una forma peggiore. Ad un sovrano
tollerabile e, se volete, amabile come Ciro, per fare un nome in particolare, proprio per
la facoltà stessa del regime monarchico di mutare carattere secondo la persona che lo
regge, tiene dietro un Falaride, famoso per la sua crudeltà, e in una forma di tirannia
simile alla sua può rapidamente e facilmente tramutarsi la dominazione di uno solo. Alla
oligarchia aristocratica dei Marsigliesi segue da presso quella che fu un tempo in Atene
la consorteria faziosa dei Trenta Tiranni. E gli Ateniesi stessi, senza cercare altre
genti, trasformarono la loro democrazia in una sfrenata e rovinosa demagogia. |
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...condizione
tristissima, e da queste due forme di involuzione può avere origine il governo
aristocratico o quello fazioso e tirannico della oligarchia, oppure il regime monarchico o
anche quello democratico. Mi pare dunque di potere affermare che nelle varie forme di
governo vi è un continuo e quasi ciclico susseguirsi di vicende e di mutamenti; ed io
penso che, come al filosofo spetta una conoscenza teorica dei fenomeni storici, così
l'uomo politico deve saper prevedere gli imminenti mutamenti costituzionali, di cui egli,
da uomo esperto e dotato di saggezza quasi divina, saprà regolare il corso e mantenere il
controllo. Ritengo dunque che sia di gran lunga preferibile una quarta forma di
costituzione politica, che risulti dalla fusione e dal moderato temperamento delle prime
tre». |
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Allora
Lelio: «So bene, o Africano, perché spesso lo sentii dire da te, che tu giudichi
eccellente tale costituzione. Ma, dimmi, di codeste tre forme, quale ritieni la migliore?
Sarebbe infatti utile sapere... |
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«
ogni costituzione politica risente dell'indole e
della volontà di chi detiene il potere. Pertanto, solo in quello stato in cui il popolo
ha il sommo potere, sussiste la vera libertà, di cui non v'è bene più prezioso; e che
neppure può chiamarsi libertà, se non comporta una assoluta uguaglianza di diritti. Ma
come può esservi assoluta uguaglianza, non dico nelle monarchie, dove i cittadini sono in
condizione manifesta di servitù, ma in quei regimi repubblicani dove a parole sono tutti
liberi? Il popolo infatti partecipa alle votazioni, assegna i comandi militari e le
magistrature, ed è per questo sollecitato dai candidati e pregato a votare per essi. Ma
si limita piuttosto a conferire quei poteri, che sarebbe ugualmente costretto a conferire,
anche se non volesse, e solo formalmente è richiesto di quanto egli stesso, in realtà,
non possiede. Non può infatti ottenere cariche militari, non prende parte alle
deliberazioni pubbliche, è privo del potere giudiziario, che è affidato a giudici
scelti, peiché il potere effettivo è retaggio e privilegio di famiglie aristocratiche o
ricche. Invece, in uno stato veramente democratico, come a Rodi o ad Atene, tutti i
cittadini...
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dicono che quando tra il popolo emerga o uno o
più uomini ricchi e potenti, abbiano allora origine dalla intolleranza e dalla superbia
di costoro i mali dello stato, poiché di fronte ad essi gli ignavi e i deboli soccombono
e sono costretti a cedere. Ma affermano anche che, se i popoli esercitano i loro diritti,
non v'è altra forma di governo che sia più nobile, più libera, più feconda, perché
quei popoli sono arbitri delle leggi, dei giudizi, della guerra, della pace, dei trattati,
della vita e della fortuna di ciascun cittadino. Questa, per essi, è la sola forma di
governo che possa a buon diritto chiamarsi repubblica, cioè cosa del popolo. Pertanto,
non da un governo libero si desidera passare alla monarchia o alla dominazione
oligarchica, ma da un governo monarchico o aristocratico il popolo suole rivendicare la
propria libertà. Non è poi giusto, essi dicono, che a causa di qualche eccesso o
sfrenatezza popolare, si condanni e si respinga ogni regime di libertà, poiché nessun
governo può essere più stabile di quello di un popolo che rivolge concordemente tutti i
suoi sforzi a tutelare la propria incolumità e la propria libertà. L'identità di
interessi è motivo di concordia, mentre la diversità degli scopi e i contrasti sociali
sono all'origine della discordia tra i cittadini. E così, quando gli aristocratici
s'impadronirono del potere, non vi fu più stabilità nella costituzione politica, e molto
meno ve ne fu nelle monarchie, nelle quali, come dice Ennio, «non v'è vincolo sacro o
fede alcuna». Quindi, se la legge è il vincolo della società civile; se il diritto che
deriva dalla legge è uguale per tutti, su quale norma giuridica può reggersi una
società civile, se non è pari la condizione dei cittadini? Se non si vuole infatti che
le ricchezze siano rese uguali tra tutti, se non è possibile parificare le capacità dei
singoli, siano almeno pari i diritti di coloro che vivono come cittadini in un medesimo
Stato. Non è infatti lo Stato una comunità che ha per base l'uguaglianza dei diritti?...
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«... non ammettono poi che altre forme di governo siano
chiamate con i nomi di cui si ammantano. Perché mai infatti dovrei chiamare re, come si
designa lo stesso Giove, e non piuttosto tiranno, un uomo avido di dominio e di potere
personale, oppressore del popolo? Come un tiranno può essere clemente, così un re può
essere crudele: per il popolo vi è solo questa differenza, se debba servire ad un signore
mite oppure ad uno crudele; comunque, è sempre obbligato a servire. In che modo Sparta,
che pure aveva fama di eccellere per le sue istituzioni politiche, poteva sperare re buoni
e giusti, dal momento che doveva accettare come re chiunque discendesse da stirpe regale?
In quanto poi agli ottimati, chi potrebbe sopportare uomini che si arrogano quel nome,
senza avere il consenso del popolo? Per quale motivo essi si ritengono ottimi? Forse per
la loro cultura, per l'attività che esercitano, per le loro inclinazioni? <Sento dire:
quando?>...»
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«...
se uno Stato affiderà al
capriccio della sorte l'elezione dei suoi governanti, andrà
in rovina tanto rapidamente quanto una nave che sia governata
da uno dei passeggeri tratto a sorte. Un popolo libero
sceglierà da sé gli uomini cui affidarsi, e, se desidera la
propria salvezza, li sceglierà tra i migliori. La fortuna
degli Stati dipende senza dubbio dalla saggezza degli uomini
migliori, tanto più che proprio questo la natura ha voluto,
che coloro che eccellono per virtù e coraggio comandassero ai
più deboli, e che questi fossero disposti a obbedire. Si dice
tuttavia che questa ottima forma di governo sia danneggiata da
errati giudizi di uomini i quali, per ignoranza della virtù,
patrimonio di pochi e solo da pochi riconosciuta e apprezzata,
giudicano uomini migliori coloro che sono potenti per
ricchezza e nobiltà di sangue. Per tale errore accade che uno
Stato sia retto non già dalla virtù, ma dalla potenza di
pochi, i quali si arrogano con la forza il nome di ottimati,
mentre in realtà di tale nome non sono degni. Infatti le
ricchezze, gli onori, la potenza, quando non s'accompagnino
alla saggezza e alla moderazione nel vivere e nel comandare
agli altri, sono motivo di infamia e di arrogante superbia,
né vi può essere forma di governo peggiore di quella nella
quale gli uomini più ricchi sono giudicati i migliori. Che
cosa invece vi può essere di più bello di uno Stato che
abbia per fondamento la virtù? E questo avviene, quando colui
che comanda agli altri non è schiavo di alcuna cupidigia e,
praticando egli stesso tutte le virtù alle quali educa ed
esorta gli altri, non impone leggi che egli poi non osservi,
ma propone come legge la propria vita ai suoi concittadini. E
se potesse un uomo solo provvedere facilmente a tutto, non vi
sarebbe certo bisogno di un governo retto da molti, e, d'altra
parte, se tutti potessero vedere il bene comune e su di esso
accordarsi, nessuno chiamerebbe gli ottimati a reggere lo
Stato. Come la difficoltà di prendere decisioni fa passare il
potere da un re a più persone, così gli errori e la
sconsidcratezza dei popoli lo trasferiscono dalla moltitudine
ai pochi. In tal modo, tra l'impotenza di un uomo solo e
l'avventatezza della massa, gli ottimati tengono il giusto
mezzo e svolgono un'azione moderatrice. Beata e fiorente è la
condizione dei popoli che sono retti dagli ottimati: vivono
infatti liberi da ogni cura e da ogni pensiero, poiché hanno
affidato la tutela della loro tranquillità ad altri, che si
assumono l'obbligo di difenderla e di far sì che il popolo
non pensi che i suoi interessi siano trascurati. L'uguaglianza
assoluta dei diritti, vagheggiata dai popoli liberi, non può
infatti essere mantenuta: anche presso i popoli che godono
della massima libertà avviene che le cariche si accumulino su
determinate persone e si faccia grande distinzione di uomini e
di onori. Inoltre, quella stessa uguaglianza livellatrice è
quanto mai ingiusta: non è giusto infatti concedere gli
stessi onori ai cittadini più ragguardevoli e a quelli di
condizione più bassa. E questo non avviene negli Stati retti
dagli uomini migliori. Queste considerazioni, o Lelio, ed
altre di tal genere sano soliti fare coloro che approvano tale
forma di costituzione politica».
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Allora
Lelio: «Quale
dunque di queste tre forme di governo preferisci tu, Scipione?».
«Hai
ragione di pormi questa domanda, perché di esse, considerate
singolarmente, non ne approvo nessuna per se stessa, ma
preferisco quella che risulti da un saggio temperamento di
tutte. Ma, se proprio ad una sola tra quelle dovessi dare la
preferenza, loderei e approverei in primo luogo la monarchia:
infatti il nome di re ricorda quasi il nome di padre, in
quanto si prende cura dei suoi sudditi come un padre dei suoi
figli e, anziché asservirli, si adopera tanto per
proteggerli, che i deboli e i poveri accettano di buon grado
di essere da lui sorretti e guidati. Ma vi sono gli ottimati,
che si vantano di sapere fare meglio le stesse cose e
affermano che vi sarà maggiore saggezza nelle deliberazioni
di parecchi uomini riuniti che in quelle di uno solo, pur
essendo quelli e questo animati da egual senso di giustizia e
di onestà. Ed ecco infine il popolo protestare a gran voce
che non vuole obbedire né ad un uomo solo, né a pochi.
Asserviti infatti ad unre o asserviti agli aristocratici,
tutti sarebbero ugualmente privi della libertà, di cui anche
per le fiere non v'è bene più prezioso. I re dunque
conquistano il nostro animo con la loro paterna benevolenza,
gli aristocratici con la saggezza dei consigli, il popolo con
l'aspirazione alla libertà, così che, volendo fare un
confronto tra le tre forme di governo, non è facile dire
quale convenga scegliere».
E Lelio: «Lo
credo; e tuttavia, se lascerai insoluta la questione, non
potrai approfondire gli altri argomenti». |
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