Satura tota nostra est, afferma Quintiliano,
rivendicando l'originalità di quello che, a suo dire, è l'unico genere letterario latino
autonomo rispetto ai modelli greci.
In
realtà, se è vero che il nome non deriva dal greco, è dubbio invece
che esso non abbia precedenti nella letteratura greca: opere ibride ed anomale
come i "Giambi" di Callimaco, infatti, sembrano porsi sulla stessa
linea della "latinissima" satira.
L’etimologia del genere risale probabilmente ad una
formula etrusca: satura lanx era il "piatto misto" di
primizie destinate agli dèi. Non a caso si tratta in origine di un genere
"aperto" sul fronte dei contenuti e della forma; esso nasce
infatti come una sorta di miscellanea di diversi argomenti che trovano
espressione in metri vari, orientandosi però ben presto (già con Lucilio) sull'esametro.
Questa
la storia del genere:
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il
primo contributo, per quel che ne sappiamo, è quello di Ennio
(III-II sec. a.C.), che è dunque da considerare il "padre" della
satira; della sua opera satirica possediamo scarsi frammenti, che
testimoniano tuttavia una notevole varietà di temi e di metri;
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la tappa successiva è costituita da Lucilio (II
sec. a.C.), la cui opera ci è giunta frammentaria; con lui la satira cambia
destinazione, assumendo quei caratteri di invettiva e di parodia che le
resteranno propri nei secoli;
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con Orazio (età di Augusto, I sec. a.C.) la
satira giunge ad una nuova svolta: egli sostituisce all'invettiva il sermo, ovvero quella formula di amabile colloquio fra pari
destinato ad una ricerca morale che coinvolge l'autore in prima persona;
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Persio (età giulio-claudia, I sec. d.C.) segna il
trapasso dal "discorso fra pari" ad un nuovo registro stilistico:
egli si rivolge ad un interlocutore fittizio che rappresenta quel pubblico
culturalmente e moralmente subalterno del quale si sente educatore; da una
posizione di superiorità morale egli si riveste dunque, attraverso la finzione
letteraria, del ruolo di "fustigatore dei costumi";
La
satira menippea
La satira menippea, seppure il
genere in quanto tale sia latino, ha ascendenze chiaramente greche, come il
nome stesso dimostra: è il
grande erudito del I sec. a.C. Varrone Reatino ad "inventare"
il genere, prendendo però spunto dalla diàtriba cinico-stoica di
Menippo di Gàdara (filosofo cinico del III sec. a.C., vissuto fra la
Palestina e la Grecia).
La struttura canonica della diàtriba prevede un
protagonista che si rivolge ad un pubblico di ascoltatori, i quali però non
intervengono attivamente nel dialogo (cfr. i Dialogi
di
Seneca).
Si tratta di un genere molto aperto sui versanti di
contenuto e forma, caratterizzato dalla forma prosimetrica (=
commistione di prosa e versi), dalla forte caratterizzazione dei personaggi,
spesso irrigiditi in veri e propri tipi, e da un'alternanza di
registri dall'effetto sorprendente e spesso intenzionalmente comico; è
inoltre frequente l'elemento novellistico.
Dopo Varrone la nostra conoscenza della satira menippea è
ridotta alla sola Apokolokyntòsis di Seneca, mentre
sussistono dubbi sulla possibilità di classificare in tal senso il Satyricon
di
Petronio (cfr. l’apposita scheda).
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