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Parole dotte e parole popolari

Cari amici,
se siete stati impegnatissimi come me con compiti e interrogazioni di fine anno, potete capire perché non sono riuscito a comunicarvi le mie nuove scoperte: ho dovuto dedicarmi alle traduzioni e allo studio della grammatica per evitare i famigerati debiti scolastici! Ma so, dal numero delle vostre visite, che anche voi avete fatto come me.
Adesso che sono più libero, eccomi di nuovo a caccia delle parole italiane che sono praticamente parole latine. Volete sapere il perché di questo mio interesse? Ve lo spiego subito. Ho capito che non si può parlare bene l'italiano (e nemmeno pronunciare le parole nel modo corretto) se non si conosce anche il latino.

Oggi vi parlerò delle parole "dotte" e delle parole "popolari".

Le parole "dotte" sono quelle che si sono tramandate non attraverso i discorsi della gente comune, ma attraverso i testi latini che gli studiosi hanno continuato a leggere praticamente sempre soprattutto in Italia.
Per esempio, "oro" in latino si dice aurum: il dittongo au in italiano diventa "ò" da cui òro (da pronunciare con la o aperta); l'aggettivo corrispondente, di derivazione dotta, è "aureo", mentre nella parlata comune si dice "di oro", infatti normalmente noi diciamo "un anello d'oro" invece che "un anello aureo", ma è meglio dire un "periodo aureo" che non "un periodo d'oro".
Che cosa ne deduciamo? Ne deduciamo che, se da un vocabolo latino derivano sia il sostantivo sia l'aggettivo, l'aggettivo è più dotto del sostantivo.

Facciamo qualche esempio e diventerete anche voi un po' più "dotti"!

  • Da familia deriva il sostantivo popolare (che ha visto la trasformazione di -li- in -gli-) "famiglia" e l'aggettivo dotto "familiare" (che si dovrebbe scrivere correttamente senza -gl-, anche se adesso è accettata anche la forma "famigliare" per analogia con famiglia);
  • da flos, floris deriva il sostantivo "fiore" (popolare) e l'aggettivo "floreale" (dotto);
  • da filius deriva il sostantivo "figlio" (popolare) e l'aggettivo "filiale" (dotto);
  • da exemplum deriva il sostantivo "esempio" (popolare) e l'aggettivo "esemplare" (dotto);
  • da ecclesia deriva il sostantivo "chiesa" (popolare) e l'aggettivo "ecclesiastico" (dotto);
  • da oculus deriva il sostantivo "occhio" (popolare) e l''aggettivo "oculare" (dotto);

  • da magister deriva il sostantivo "maestro" (popolare) e l'aggettivo "magistrale" (dotto).

E ora prova a trovarne anche tu qualcuno:
come mai diciamo "cavallo" per indicare l'animale, ma diciamo "equino, equitazione, equestre"?
Quando riuscirai a comprendere i meccanismi, ti sembrerà di sapere un po' meglio l'italiano e scoprirai che non basta parlare fin dalla nascita una lingua per parlarla bene: bisogna conoscerla nei suoi segreti!

Ti insegno ora un trucchetto che ti aiuterà a scoprire di che declinazione sono alcune parole italiane che derivano direttamente dal latino, cioè che sono formate sullo stesso tema.

In italiano le parole si dividono in tre gruppi (ci avevi mai fatto caso?):
  1. quelle che finiscono in -a come "famiglia, femmina, casa, villa, isola, ecc.";
  2. quelle che finiscono in -o come "lupo, tempio, popolo, ecc." e gli aggettivi "buono, giusto, arduo, misero, ecc.";
  3. quelle che finiscono in -e come "console, regione, oratore, moltitudine, ecc." e gli aggettivi "facile, utile, nobile, equestre, ecc."
Le parole del primo gruppo corrispondono a parole che in latino appartengono alla prima declinazione: familia, femina, casa, villa, insula.
Le parole del secondo gruppo corrispondono a parole che in latino appartengono alla seconda declinazione: lupus, templum, populus e gli aggettivi corrispondono ad aggettivi della prima classe latina: bonus, a, um; iustus, a, um; arduus, a, um; miser, era, erum. Nelle parole che in italiano terminano in -o tuttavia sono confluite anche alcune parole della quarta declinazione latina quali "esercito, senato, mano, spirito, ecc." che corrispondono ad exercitus, us; senatus, us; manus, us; spiritus, us; ecc.
Le parole del terzo gruppo corrispondono a parole che in latino appartengono alla terza declinazione: consul, is; regio, onis; orator, oris; multitudo, inis (nell'ablativo singolare sono identiche all'italiano) e gli aggettivi corrispondono ad aggettivi della seconda classe: facilis, e; utilis, e; nobilis, e; equester, tris, tre; ecc. Nelle parole che in italiano terminano in -e tuttavia sono confluite anche alcune parole della quinta declinazione latina quali "specie" che corrisponde a species, ei.

Anche alcune parole accentate sull'ultima quali "città, virtù, bontà, verità, ecc." corrispondono a parole appartenenti alla terza declinazione latina con tema in dentale: civitas, atis; virtus, utis; bonitas, atis; veritas, atis; ecc.

Ricordati però che, per far funzionare il "trucchetto", bisogna che le parole italiane e quelle latine abbiano lo stesso tema.

La prossima volta ti rivelerò anche come fare a ricostruire il paradigma di qualche verbo non proprio semplicissimo.

 

 

Eccomi di nuovo a voi

Cari amici,

sono finalmente (preferirei dire “purtroppo”) ritornato dalle vacanze  e adesso, dopo i meritati svaghi, è ora di rimettersi a studiare. Io cercherò di distrarvi un po’ con le mie scoperte e soprattutto di rendervi il latino più piacevole.

Vi avevo promesso che vi avrei insegnato a ricostruire il paradigma di alcuni verbi: alludevo naturalmente a quelli che hanno il tema quasi uguale in italiano.

Continuiamo allora la nostra rassegna, facendo una breve carrellata sui cambiamenti che hanno subito le parole latine nel diventare parole italiane.

Il vocalismo:

in latino le vocali si distinguono in brevi e lunghe

in italiano si distinguono solo la “è” e la “ò” aperte dalla “é” e dalla “ó” chiuse, in sillaba tonica.

Il vocalismo italiano deriva dal vocalismo latino secondo alcune regole fondamentali:

ë  lunga e î breve latini in sillaba tonica dànno é chiusa

ê breve latino in sillaba tonica dà è aperta in sillaba chiusa e iè in sillaba aperta

ö e û breve latini in sillaba tonica danno ó chiuso

ô breve latino in sillaba tonica dà ò aperta in sillaba chiusa oppure uò in sillaba aperta.

 

Sembra difficile, ma se facciamo qualche esempio tutto si chiarirà:

vênit (= e breve in sillaba aperta) = viene; pêctus (e breve in sillaba chiusa) = pètto

côquis (= o breve in sillaba aperta) = cuoci; côctum (o breve in sillaba chiusa) = còtto

 

Prova a trovare altre parole tu: io te ne suggerisco qualcuna: nôvus, bônus, sêdet, tênet, ecc.

 

Il consonantismo:

i gruppi consonantici del tipo -ct-, -pt-, -bd-, -dg-, -x-, -ps-, -mn-, ecc. non sono sopportati in italiano a meno che non si tratti di parole derivate da altre lingue diverse dal latino, come ad esempio il greco o le lingue germaniche (es.: psicologo, Edmondo).

Facciamo anche qui qualche esempio per maggior chiarezza:

latino                                      italiano

octo                                         otto

septem                                     sette

ipsa                                          essa

damnum                                   danno

scripsi                                      scrissi

 

In italiano questi gruppi consonantici si sono trasformati in consonanti doppie perché la prima si è assimilata alla seconda (pt = tt).

L’italiano, a differenza del latino e delle altre lingue del mondo in cui le doppie sono rare, è una lingua caratterizzata da molte consonanti doppie.

Avrete notato infatti che per gli stranieri che parlano italiano la pronuncia delle doppie è uno dei punti di maggior difficoltà.

Ecco perché, per parlare consapevolmente bene la nostra lingua, dobbiamo conoscere il latino!

 

Proviamo ora a dare uno sguardo ai verbi

Le quattro coniugazioni latine si sono conservate molto bene in italiano anche se a noi sembra che in italiano le coniugazioni siano soltanto tre terminanti rispettivamente in -are, -ere, -ire.

In realtà nella nostra seconda coniugazione sono confluite la seconda e la terza coniugazione del latino. Da che cosa ce ne accorgiamo? Ce ne accorgiamo dall’accento!

Il verbo video (= vedo), appartenente alla II coniugazione latina, in italiano all’infinito è parola piana esattamente come in latino: vedère = vidëre

Il verbo scribo (= scrivere), appartenente alla III coniugazione latina, in italiano all’infinito è parola sdrucciola esattamente come in latino: scrìvere = scrìbêre.

Così il paradigma del verbo latino scribo = scribo, scribis, scripsi, scriptum, scribere corrisponde in italiano alle voci:

scrivo (b = v), scrivi (con caduta della desinenza -s), scrissi (-ps- = ss), scritto (-pt- = tt), scrìvere (b = v).

 

Prova tu con il verbo conduco o con il verbo dico e scoprirai che non è così difficile ricordarne il paradigma.

 

I verbi “fare” e “porre” derivano anch’essi dal latino in cui appartengono alla III coniugazione: che cosa è successo a questi verbi nel passare dal latino all’italiano?

Incominciamo da pono il cui paradigma è pòno, pònis, pòsui, pòsitum, pònere

Le sillabe toniche (quelle su cui cade l’accento) sono normalmente più protette di quelle atone (quelle su cui l’accento non cade); questo perché, parlando, le vocali atone si sentono poco e col passar del tempo tendono a scomparire. Così pòsitum è diventato in italiano “pòsto” e pònere, passando attraverso “ponre” per la caduta della -e- e successiva assimilazione della -n- alla -r-, è diventato “porre”.

Così da fàcere si è giunti all’italiano “fare”: se provi a pronunciare velocemente fàcere facendo sentire bene la sillaba tonica e inevitabilmente meno bene quella atona, ti accorgerai che la sillaba atona -ce- tende a scomparire perché quasi non viene pronunciata.

Fâcio poi, con la â breve, è un verbo che dimostra chiaramente nei suoi composti come la vocale breve in sillaba aperta (= sillaba che finisce per vocale) sia meno protetta che in sillaba chiusa (= sillaba che finisce per consonante), per cui è sottoposta a gradazione vocalica:

il paradigma fâcio, facis, feci, fâctum, facêre diventa in un suo composto:

efficio, effîcis, effëci, effectum, efficêre (la â breve si trasforma in î breve in sillaba aperta e in -e- in sillaba chiusa. Dunque poiché nel leggere e nell’accentare le parole latine vale la legge della penultima (= se la penultima è breve l’accento cade sulla terzultima, viceversa rimane sulla penultima), dovrai leggere la seconda persona dell’indicativo singolare èfficis e non effìcis come tante volte gli studenti fanno.

 

Visto com’è vivo nell’italiano il latino?!

Prova a trovare anche tu altre somiglianze: ti sorprenderai!

 

A presto, amici, e buon inizio di anno scolastico a tutti!