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Esistono davvero i fantasmi?  

È Plinio il Giovane a fornirci alcune testimonianze che sembrerebbero provare l’esistenza dei fantasmi. La lettera qui riportata è scritta all’amico Sura, un influente personaggio che sostenne la candidatura di Traiano all’impero e che svolse accanto all’imperatore un’attività politica simile a quella che Mecenate svolse presso Augusto. Scopo di Plinio con questa lettera è proprio quello di appurare, facendo appello alle conoscenze scientifiche dell’amico, se i fantasmi esistano davvero o se invece siano frutto della nostra fantasia dominata dalla paura.

Ecco quello che Plinio racconta:

"Il tempo libero offre a me la possibilità di imparare e a te (quella) di insegnare. Pertanto vorrei proprio sapere se tu pensi che i fantasmi esistano e abbiano una forma propria e un qualche potere divino o se, inconsistenti e vani, prendano forma dalla nostra paura. Io sono indotto a credere che esistano soprattutto da un episodio che sento dire essere accaduto a Curzio Rufo. Ancora insignificante e sconosciuto  si era aggregato come accompagnatore al governatore dell’Africa. Nel pomeriggio passeggiava in un portico; gli si presenta una figura di donna più grande e più bella di una donna vera.  A lui atterrito disse di essere l’Africa, messaggera di eventi futuri: egli infatti sarebbe andato a Roma, avrebbe rivestito importanti cariche, sarebbe anche ritornato nella medesima provincia con il sommo comando e lì sarebbe morto. Tutte le cose si sono avverate. Si narra inoltre che mentre si accostava a Cartagine e scendeva dalla nave, gli andò incontro sulla spiaggia la stessa figura. Egli, si sa di sicuro, colpito da malattia, presagendo il futuro dal passato e le avversità dalla fortuna, mentre nessuno dei suoi disperava della sua salvezza, rinunciò ad ogni speranza. Quello che ora ti esporrò non è forse anche più terribile e non meno straordinario?  

C’era ad Atene una casa ampia e spaziosa, ma maledetta e mortifera. Nel silenzio della notte si sentiva un suono di ferraglia e, se si ascoltava con maggior attenzione, uno strepito di catene dapprima più lontano, poi vicinissimo: quindi appariva un fantasma, un vecchio malconcio per la magrezza e per l’aspetto trasandato, con la barba lunga e i capelli ispidi; portava ceppi ai piedi e catene alle mani e (e scuoteva. Perciò gli abitanti trascorrevano nella veglia, per la paura, notti spaventose e terribili; all’insonnia seguiva la malattia e, col crescere della paura, la morte. Infatti anche di giorno, sebbene la visione se ne fosse andata, il ricordo di quell’immagine vagava negli occhi e la paura durava più a lungo della cause della paura. La casa rimase dunque abbandonata e condannata alla solitudine e lasciata tutta a quella creatura mostruosa; tuttavia veniva offerta al pubblico, sia che qualcuno, ignaro di un problema così grave, volesse comprarla, sia che volesse affittarla. Arriva ad Atene il filosofo Atenodoro, legge l’annuncio e, sentito il prezzo, poiché lo insospettiva il fatto che fosse così basso, chieste informazioni, viene informato di tutto, e nonostante questo, anzi proprio per questo, la prende in affitto. Quando cominciò a far sera, ordinò che gli fosse preparato il letto nella parte della casa più vicina all’ingresso, chiese le tavolette, lo stilo, un lume, fece ritirare tutti i suoi nelle parti più interne della casa; egli stesso concentrò nello scrivere il pensiero, gli occhi, la mano, per evitare che la mente libera si immaginasse i fantasmi di cui aveva sentito parlare e vane paure. All’inizio, come dappertutto, il silenzio della notte; poi ecco uno scuotere di ferro, un muovere di catene. Egli non sollevava gli occhi, non posava la penna, ma rafforzava il suo animo e non dava peso a ciò che sentiva. Allora il fragore incominciò a crescere, ad avvicinarsi e a sentirsi ormai come sulla soglia, ormai come dentro la soglia. Egli si volta, vede e riconosce la figura di cui gli avevano parlato. Era in piedi e faceva segno con il dito come se lo chiamasse.

 

Costui (= Atenodoro) di rimando le fa cenno con la mano di aspettare un po’ e di nuovo si mette a scrivere sulle tavolette cerate. Quella intanto, mentre egli scriveva, gli faceva risuonare le catene sulla testa. Atenodoro si volta di nuovo e vede che gli faceva lo stesso cenno di prima, e senza perdere tempo prende il lume e la segue. Quella procedeva a passo lento, come se fosse appesantita dalle catene. Dopo che ebbe deviato verso il cortile della casa, svanita all’improvviso, abbandonò il compagno. Rimasto solo, raccolte delle erbe e delle foglie, le pone su quel luogo come segno. Il giorno seguente si reca dai magistrati e li invita ad ordinare di scavare in quel luogo. Si trovano delle ossa strettamente intrecciate alle catene, che il corpo consumato dal tempo e dalla terra aveva lasciato nude e corrose dai vincoli; raccolte, vengono seppellite a spese pubbliche. La casa da quel momento, sepolti secondo il rito quei resti mortali, fu liberata dal fantasma.  

Certo, io credo a queste vicende sulla base di coloro che le dichiarano; questo fatto invece posso dichiararlo io agli altri.  

Ho un liberto non privo di cultura. Con costui, nel medesimo letto, riposava il fratello minore. Quest’ultimo ebbe l’impressione di vedere un tale sedersi sul letto, avvicinare alla sua testa delle forbici, e addirittura tagliargli dei capelli proprio dalla sommità del capo. Appena fece giorno, egli stesso si ritrovò rasato intorno alla sommità della testa, e i capelli vennero trovati per terra. Trascorse un brevissimo lasso di tempo, e di nuovo un altro fatto analogo diede credibilità al precedente. Un giovane servo stava dormendo, insieme a parecchi altri, nella camerata. Arrivarono attraverso le finestre - così racconta lui - due tizi in tuniche bianche, lo rasarono mentre dormiva e poi se ne andarono per dove erano venuti. La luce del giorno mostrò anche costui rasato e i suoi capelli sparsi all’intorno. Non ne seguì nulla di significativo, se non forse il fatto che io non fui incriminato: e lo sarei stato, se Domiziano, sotto il quale accaddero questi fatti, fosse vissuto più a lungo. Infatti, nel suo archivio, fu trovata una denuncia contro di me presentatagli da Caro; e da questo si può congetturare che, siccome è usanza che gli imputati si lascino crescere la capigliatura, i capelli tagliati dei miei servi significassero che il pericolo che incombeva su di me era stato scongiurato.

Perciò ti prego che tu metta in campo tutte le tue conoscenze. La questione merita che tu la consideri a lungo e in modo approfondito e neppure io sono immeritevole di avere la possibilità di giovarmi della tua scienza. Anche se, come sei solito fare, discuterai avanzando gli argomenti che ognuna delle due tesi possiede, tuttavia trai da una delle due una conclusione più valida, per non lasciarmi titubante e incerto, dal momento che il motivo che mi ha spinto a consultarti è stato quello di poter smettere di dubitare. Stammi bene”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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