L'eruzione del Vesuvio
Il 24 agosto del 79 d. C., durante l’Impero di Tito, la più famosa eruzione del
Vesuvio cancellò,
seppellendole sotto un mare di cenere, le città di Pompei,
Ercolano e Stabia.
Pochi
anni prima, nel 62, un forte terremoto aveva fatto tremare la Campania, quasi un
avvertimento della futura distruzione.
Ci
sono pervenute testimonianze scritte di entrambi gli avvenimenti: Seneca il
Giovane nelle Naturales quaestiones ci
parla con sgomento del terremoto e Plinio il Giovane in una delle sue Epistulae
descrive, da testimone oculare, le terribili ore vissute dagli abitanti del
luogo durante l’eruzione.
La
gravità dell’evento inaspettato, l’incredulità degli abitanti, la mancanza
di mezzi di soccorso tempestivi ed efficaci provocarono una catastrofe di
proporzioni spaventose.
Plinio
il Vecchio, il famoso naturalista, vi trovò la morte e fu proprio grazie alla
sua morte se noi oggi possediamo la lettera che il nipote scrisse a Tacito, lo
storico che gli chiedeva informazioni precise sulla scomparsa dello zio e sugli
eventi di quel fatale 24 agosto.
Caio
Plinio invia i suoi saluti al caro Tacito.
“Mi
chiedi che io ti esponga la morte di mio zio, per poterla tramandare con una
maggiore obiettività ai posteri.
Te
ne ringrazio, in quanto sono sicuro che, se sarà celebrata da te,
la sua morte sarà destinata ad una gloria immortale.
Era
a Miseno e teneva direttamente il comando della flotta. Il 24 agosto, verso
l'una del pomeriggio, mia madre lo informa che spuntava una nube fuori
dell'ordinario sia per grandezza che per aspetto. Egli dopo aver preso un bagno
di sole e poi un altro nell'acqua fredda, aveva fatto uno spuntino stando nella
sua brandina da lavoro ed attendeva allo studio; si fa portare i sandali e sale
in una località che offriva le migliori condizioni per contemplare quel
prodigio.
Si elevava una nube, ma chi
guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna (si seppe poi in
seguito che era il Vesuvio): nessun'altra pianta meglio del pino ne potrebbe
riprodurre la figura e la forma. Infatti slanciatasi in su come se si sorreggesse su di un
altissimo tronco, si allargava
poi in quelli che si potrebbero chiamare dei rami; credo che il motivo
risiedesse nel fatto che, innalzata dal turbine subito dopo l'esplosione e poi privata del suo appoggio quando quello andò esaurendosi, o
anche vinta dal suo stesso peso, si dissolveva allargandosi: talora era
bianchissima, talora sporca e macchiata, a seconda che aveva trascinato con sé
terra o cenere.
Nella
sua profonda passione per la scienza, stimò che si trattasse di un fenomeno
molto importante e meritevole di essere studiato più da vicino.
Ordina che gli si prepari
una liburna e mi offre la possibilità di andare con lui se lo
desiderassi. Gli risposi che preferivo attendere ai miei studi e, per caso, proprio lui mi aveva assegnato un lavoro
da svolgere per iscritto.
Mentre usciva di casa, gli viene
consegnata una lettera da parte dì Rettina, moglie di Casco,
la quale, terrorizzata dal pericolo incombente (infatti la sua villa era
posta lungo la spiaggia della zona minacciata e l'unica via di scampo era
rappresentata dalle navi), lo pregava che la strappasse da quel frangente così
spaventoso.
Egli allora cambia progetto e ciò
che aveva incominciato per un interesse scientifico lo affronta per l'impulso della sua eroica
coscienza.
Fa
uscire in mare delle quadriremi e vi sale egli
stesso, per venire in soccorso non solo a Rettina ma a molta gente, poiché quel
litorale, in grazia della sua bellezza era fittamente abitato.
Si affretta colà donde gli
altri fuggono e punta la rotta ed il timone proprio nel cuore del pericolo, così
immune dalla paura da dettare e da annotare tutte le evoluzioni e tutte le
configurazioni di quel cataclisma, come riusciva a coglierle successivamente con
lo sguardo.
Ormai,
quanto più si avvicinavano, la cenere cadeva
sulle navi sempre più calda e più densa, vi cadevano ormai anche pomici e
pietre nere, corrose e spezzate dal fuoco, ormai si era creato un bassofondo
improvviso ed una frana della montagna impediva di accostarsi al litorale.
Dopo
una breve esitazione se dovesse ripiegare all'indietro, al pilota che gli
suggeriva quest'alternativa tosto replicò: «La fortuna aiuta i prodi; dirigiti
sulla dimora di Pomponiano”.
Questi
si trovava a Stabia, dalla parte opposta del golfo (giacché il mare si inoltra
nella dolce insenatura formata dalle coste arcuate a semicerchio); colà
quantunque il pericolo non fosse ancora vicino, siccome però lo si poteva
scorgere bene e ci si rendeva conto che, nel suo espandersi, era ormai
imminente, Pomponiano aveva trasportato su delle navi le sue masserizie,
determinato a fuggire non appena si fosse calmato il vento contrario. Per mio
zio invece questo era allora pienamente favorevole, così che vi giunge, lo
abbraccia tutto spaventato com'era, lo conforta, gli fa animo e, per smorzare la
sua paura con la propria serenità, si fa calare nel bagno: terminata la
pulizia, prende posto a tavola e consuma la sua cena con un fare gioviale o,
cosa che presuppone una grandezza non inferiore, recitando la parte dell'uomo
gioviale.
Nel
frattempo dal Vesuvio risplendevano in parecchi luoghi delle larghissime strisce
di fuoco e degli incendi che emettevano alte vampate, i cui bagliori e la cui
luce erano messi in risalto dal buio della notte. Egli, per sedare lo sgomento,
insisteva nel dire che si trattava di fuochi lasciati accesi dai contadini
nell'affanno di mettersi in salvo e di ville abbandonate che bruciavano nella
campagna. Poi si prese un po' di riposo e riposò di un sonno certamente
genuino. Infatti il suo respiro, che, a causa della sua corpulenza, era
piuttosto profondo e rumoroso, veniva percepito da coloro che andavano avanti e
indietro dinanzi alla sua soglia.
Senonché
il cortile da cui si accedeva alla sua stanza, riempiendosi di cenere mista a
pomici, aveva ormai innalzato tanto il suo livello che, se mio zio avesse
ulteriormente indugiato nella sua camera, non avrebbe più avuto la possibilità
di uscirne.
Svegliato,
viene fuori e si ricongiunge al gruppo di Pomponiano e di tutti gli altri, i
quali erano rimasti desti fino a quel momento. Insieme esaminano se sia
preferibile starsene al coperto o andare alla ventura allo scoperto. Infatti,
sotto l'azione di frequenti ed enormi scosse, i caseggiati traballavano e, come
se fossero stati sbarbicati dalle loro fondamenta, lasciavano l'impressione di
sbandare ora da una parte ora dell'altra e poi di ritornare in sesto. D'altronde
alI'aperto cielo c'era da temere la
caduta di pomici, anche se erano leggere e corrose; tuttavia il confronto
tra i due pericoli indusse a scegliere quest'ultimo. In mio zio una ragione
predominò sull'altra, nei suoi compagni una paura s'impose sull'altra. Si
pongono in testa dei cuscini e li fissano con dei capi di biancheria; questa era
la loro difesa contro tutto ciò che cadeva dall'alto.
Altrove
era già giorno, là invece era una notte più nera e più fitta di qualsiasi
notte, quantunque fosse mitigata da numerose fiaccole e da luci di varia
provenienza. Si trovò conveniente di recarsi sulla spiaggia ed osservare da
vicino se fosse già possibile tentare il viaggio per mare; ma esso
perdurava ancora sconvolto ed intransitabile. Colà, sdraiato su di un panno
steso per terra, chiese a due riprese dell'acqua fresca e ne bevve. Poi delle
fiamme ed un odore di zolfo che
preannunciava le fiamme spingono gli altri in fuga e lo ridestano.
Sorreggendosi
su due semplici schiavi riuscì a rimettersi in piedi, ma subito stramazzò: da
quanto io posso arguire, l'atmosfera troppo pregna di ceneri gli soffocò la
respirazione e gli otturò la gola, che era per costituzione malaticcia, gonfia
e spesso infiammata.
Quando
riapparve la luce del sole (era il terzo giorno da quello che aveva visto per
ultimo) il suo cadavere fu trovato intatto, illeso e rivestito degli stessi
abiti che aveva indossati: la maniera con cui il suo corpo si presentava faceva
più pensare ad uno che dormisse che non ad un morto.
Frattanto
a Miseno io e mia madre… ma questo
non interessa la storia e tu non hai espresso il desiderio dl essere
informato di altro che della sua morte. Dunque terminerò.
Aggiungerò
solo una parola: che ti ho esposto tutte cose alle quali ho partecipato o che mi
sono state riferite immediatamente dopo, quando i ricordi conservano ancora la
massima precisione.”
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