Mentre in
altre zone della Grecia l'amore omosessuale è considerato del tutto
positivo, in Atene e nella Ionia si continua a confonderlo con la
pederastia, e di conseguenza non si ritiene onesto concedersi
all'amante. E' un errore di prospettiva: in realtà tale rapporto di
per sé non è né positivo né negativo, ma buono se volto al bene,
cattivo se volto al male. Occorre perciò far coincidere l'amore per
i ragazzi con l'amore per la virtù.
Aristofane,
còlto dal singhiozzo (probabilmente strategico), salta il turno.
Discorso di Erissimaco:
E' vero quel che dice Pausania sui due tipi
di amore: egli però ha omesso di dire che l'amore non riguarda solo
gli esseri umani, ma anche tutti gli altri esseri viventi. La
scienza chiamata medicina, di cui Erissimaco è rappresentante,
insegna che esiste un amore sano, volto al bene, ed un amore malato,
volto al male: ogni qual volta un essere cade in quest'ultimo tipo
di amore, si ammala; il bravo medico sa che il suo compito consiste
appunto nel contrastare questa tendenza perversa innata in tutti gli
esseri viventi, favorendo l'amore positivo. D'altronde non è
diverso il ruolo della musica, dell'astronomia, della divinazione,
discipline tutte che tendono a ristabilire la giusta inclinazione
verso l'amore sano.
Discorso di Aristofane:
Il comico esordisce ironizzando sul discorso di
Erissimaco: il singhiozzo è cessato non appena ha starnutito, il
che significa che i sistemi con cui si ristabiliscono le giuste
inclinazioni del corpo umano sono per lo meno curiosi. Comunque egli
ha intenzione di spiegare la potenza dell'amore rivelandone le più
remote radici, e per far ciò gli sarà necessario descrivere la
natura umana quale era alle origini.
Il mito
dell'andrògino:
Un tempo
gli uomini erano "a tutto tondo", con due volti, quattro
braccia, quattro gambe e così via, per cui erano velocissimi nel
muoversi, molto potenti e tremendamente superbi. I loro sessi non
erano due, ma tre: maschile (risultante dalla fusione di due
maschi), femminile (risultante dall'unione di due femmine),
andrògino (risultante dalla fusione di un maschio ed una femmina).
Infastidito dalla loro presunzione, Zeus decise un giorno di
dividerli a metà, tagliandoli in due come uova sode, ed affidò ad
Apollo il compito di ricucirli. Ma ecco che le due metà non
riuscivano a rimanere separate: non facevano che cercarsi e,
ritrovatesi, si avvinghiavano disperatamente e si lasciavano morire
di fame. Allora Zeus, impietosito, girò loro i genitali sul
davanti, e, permettendo in questo modo l'accoppiamento e la
procreazione, alleviò il loro tormento.
E' da
allora che esiste l'amore, il quale non è altro che il desiderio
irrefrenabile che ciascuna metà prova di riunirsi all'altra metà.
E se in origine faceva parte di un essere interamente maschile,
oppure interamente femminile, sarà omosessuale; se invece faceva
parte di un essere andrògino, sarà eterosessuale.
Aristofane
conclude con un'esortazione alla moderazione, onde evitare che Zeus
ci tagli di nuovo in due, riducendoci come mezzi dadi o figure da
bassorilievo.
Piccolo battibecco semiserio tra Agatone e
Socrate.
Discorso di Agatone:
C'è un errore di fondo in tutti i discorsi
precedenti: nessuno dei parlanti ha definito l'oggetto del discorso.
Agatone intende appunto farlo. Amore è il più bello, buono,
giovane tra gli dèi; è eterno, temperante, valoroso e sapiente.
Senza Amore non ci sarebbe procreazione, né poesia, né arte, né
virtù. Inoltre Amore ha la prerogativa di infondere anche negli
altri queste sue meravigliose qualità.
Discorso di Socrate:
Prima parte (confutazione dei discorsi
precedenti):
Il
filosofo confessa tutto il suo imbarazzo: non solo gli è difficile
prendere la parola per ultimo, dopo tanti bei discorsi, ma oltre
tutto egli credeva che il compito di ogni singolo parlante fosse
quello di dire la verità sull'amore, e non quello di fare esercizio
di stile, attribuendogli anche qualità spudoratamente false. Se
perciò lo scopo di questi discorsi è solo stupire, egli non
intende partecipare alla discussione: ma se i presenti si
accontentano di un discorso alla buona, teso però a ricercare la
verità, allora è disposto a parlare.
Poiché i
commensali si dicono disposti ad ascoltarlo a queste condizioni,
Socrate esordisce con qualche precisazione concettuale, rivolgendo
una serie di domande ad Agatone.
Prima di
tutto, l'amore ha un oggetto, ed in base a questo si definisce: è
infatti desiderio di qualcosa, e, siccome si desidera solo
ciò che non si possiede, evidentemente non possiede questo
qualcosa. Stando alle parole di Agatone (per certi versi
condivisibili), si direbbe che l'oggetto del desiderio amoroso sia il
bello, che poi è anche il buono: ora, come può Amore
essere bello e buono, se non possiede il bello ed il buono? Perché,
se li possedesse, non li desidererebbe.
Agatone,
confuso, riconosce l'esattezza dell'obiezione.
Seconda parte (il discorso di Diotima):
Socrate
ripeterà ora ai presenti il discorso sull'amore udito molto tempo
prima da una donna di Mantinea: Diotima.
Non
necessariamente ciò che non è bello e buono è brutto e cattivo:
l'amore si trova appunto in questa situazione intermedia.
Esso non può certo essere un dio, dal momento che non è né bello
né buono; e tuttavia non è neppure un mortale: anche in questo
caso è qualcosa di intermedio. Egli è infatti un demone grande,
un intermediario fra gli uomini e gli dèi.
Il mito
della nascita di Amore:
Amore è
figlio della mortale Penìa (= Povertà), che un giorno, recatasi
come mendicante ad un banchetto degli dèi, approfittando
dell'ubriachezza del dio Pòros (= Espediente), riuscì a rimanerne
incinta. Così, per parte di madre, Amore è povero, squallido,
miserabile, ed ecco perché desidera continuamente ciò che non ha;
ma per parte di padre è audace, coraggioso, astuto, stregone e
ciarlatano, disposto a tutto pur di ottenere ciò che desidera. Non
è né mortale né immortale, ed infatti di continuo muore e
rinasce. Non è né povero né ricco, poiché ciò che acquista non
gli basta mai e gli sfugge dalle mani. E, non essendo né dio né
uomo, non è né sapiente né ignorante, ma una via di mezzo:
infatti chi è del tutto sapiente non desidera la sapienza, appunto
perché già la possiede; chi è completamente ignorante, in
compenso, non sa neppure di esserlo, e quindi non aspira alla
sapienza, ed appunto per questo l'ignoranza è terribile. Dunque
aspirano alla sapienza solo coloro che si trovano in una condizione
intermedia fra la sapienza e l'ignoranza, cioè i filosofi. Ma Amore
è amore del bello, che è anche il bene, e la sapienza anche:
quindi Amore è filosofo.
Chi
definisce l'amore bello e buono commette un errore piuttosto
grossolano: confonde l'amante con l'amato. E' l'amato ad essere
bello, non l'amante: ma Amore è nell'amante, non nell'amato. Non è
vero, perciò, che l'amante è superiore all'amato, come affermava
Fedro, ma è vero esattamente il contrario.
Di solito
si intende la parola amore in un'accezione restrittiva, come se
riguardasse solo l'amore per le belle persone; anche questo è un
errore: in realtà tutti amano. Si è detto, infatti, di
che cosa è desiderio l'amore: del bello. Ma non si è
detto che cosa desidera l'amante rispetto al
bello: egli desidera che diventi suo. E non si è detto perché
lo desidera: lo desidera per essere felice, il che significa che è
bene per lui. Ebbene, il desiderio di bene e di felicità è comune
assolutamente a tutti gli uomini: dunque tutti amano. Semplicemente,
è diverso l'oggetto del loro amore, ossia ciò in cui identificano
il loro bene: alcuni, invece di orientarsi verso le persone, si
orientano vero l'arte, la politica, il guadagno; ma, qualsiasi cosa
ritengano bene, desiderano possederla per sempre.
In
conclusione, la prima definizione dell'amore è questa: Amore
è desiderio di possedere il bene per sempre.
Tale
definizione può tuttavia essere ulteriormente precisata. L'azione
mediante la quale si manifesta l'amore è la procreazione: chiunque
ami, infatti, e qualsiasi cosa ami, è pregno, e come tale desidera
procreare, com'è evidente nel rapporto tra uomo e donna. La
procreazione è cosa immortale in un essere mortale, e come tale è
di natura divina: proprio per questo è impossibile procreare nel
brutto, perché ciò che è brutto e disarmonico ripugna alla
natura divina. La bellezza è dunque indispensabile per la
procreazione.
Ne
consegue una seconda definizione dell'amore: Amore è
desiderio di procreare nel bello. Ma poiché, come si è
detto, la procreazione è una forma di immortalità, ecco una terza
e più precisa definizione: Amore è desiderio di
immortalità.
Se è
vero che non esiste altro mezzo di immortalità, per un essere
umano, che la procreazione, occorre però precisare che generazione
non è solo quella del corpo: esiste infatti anche una generazione
dell'anima. Vi sono persone che sono pregne non fisicamente, bensì
spiritualmente: il loro amore le porta a generare arte, pensiero,
politica. Ma per questo tipo di persona è necessaria una vera e
propria iniziazione ai misteri di Amore, senza la quale egli
non sarà in grado di chiarire a se stesso le proprie esigenze.
I gradi
dell'eros platonico:
Infatti,
come tutti, questa persona è incapace di procreare nel brutto, e
perciò il suo confuso anelito riproduttivo lo porta anzitutto ad
attaccarsi ad un bel corpo; se poi il bel corpo
contiene una bella anima, egli se ne innamorerà, ed
improvvisamente i bei pensieri che stavano chiusi in lui
scaturiranno con facilità dalla sua mente: ne metterà a parte la
persona amata e ne deriveranno figli più alti e più belli di
quelli umani, perché immortali.
In
seguito, però, se l'amante subisce il giusto percorso evolutivo
(ovvero se ha accanto a sé qualcuno che lo inizi correttamente a
queste cose), si renderà conto che "la bellezza di un
qualsiasi corpo è sorella di quella di ogni altro corpo":
comprenderà cioè che non ama il corpo in sé, ma la bellezza della
sua forma, che può ritrovare anche in altri corpi. Lo
stesso discorso vale per le anime. Imparerà poi a
considerare la bellezza dell'anima più importante di quella del
corpo, così da non badare all'eventuale bruttezza fisica; e la
frequentazione stessa di un'anima bella lo porterà a produrre
pensieri che gli consentiranno di scorgere la bellezza nelle
attività umane e nelle leggi. Di seguito, se egli continua
a salire nel suo percorso, smetterà di comportarsi come un servo,
attaccato al singolo essere amato e da esso dipendente: vedrà la
bellezza delle scienze, e finalmente scorgerà la
scienza di tutte le bellezze, che è sapienza suprema.
Infine,
chi è giunto al culmine dell'iniziazione amorosa vede
all'improvviso la Bellezza in sé, eterna, intatta ed
intangibile: quella di cui partecipano tutte le singole cose che
chiamiamo belle. E' questo il momento della vita per cui vale la
pena di vivere: finalmente, a questo punto, a contatto con la vera
Bellezza, l'uomo può partorire non simulacri di virtù, ma virtù
vera; e diventa davvero immortale.
L'ingresso di Alcibiade:
Mentre tutti lodano Socrate ed Aristofane tenta
di riprendere la parola, si ode all'improvviso un grande frastuono
alla porta d'ingresso: irrompe nella sala Alcibiade, bellissimo come
sempre e completamente ubriaco, tanto da dover essere sostenuto da
una flautista e da alcuni compagni. Egli afferma di essere venuto
per incoronare Agatone, a patto che gli altri siano disposti ad
ubriacarsi con lui: tutti lo acclamano festosamente, invitandolo a
prendere posto. La corona, che gli è scesa sugli occhi, gli
impedisce di vedere Socrate, accanto al quale si siede senza
accorgersene. Vistolo all'improvviso, lo rimprovera per essersi
seduto accanto al più bello della compagnia, Agatone. Socrate, in
tono semiserio, prega Agatone di difenderlo dalla gelosia di
Alcibiade, che sta diventando per lui un vero problema. Alcibiade
incorona anche Socrate. Erissimaco interviene per informare
Alcibiade che il tema del simposio è l'amore: egli dovrà
pronunciarne l'elogio, come hanno fatto tutti. Alcibiade si
schermisce, dicendo che se, in presenza di Socrate, lodasse qualcun
altro, il filosofo gli metterebbe le mani addosso. Allora Erissimaco
gli propone di pronunciare l'elogio di Socrate, cosa che Alcibiade
accetta volentieri.
Discorso di Alcibiade:
Socrate
è simile a quelle statuette di satiri o sileni che, brutte e
sgraziate all'esterno, contengono all'interno l'immagine di un dio.
Il fascino ammaliatore della sua parola è pari a quello della
musica del mitico satiro Marsia: Alcibiade ammette di esserne
completamente soggiogato, tanto da doversi fare violenza per
sottrarvisi. Nessuno conosce il vero Socrate, né sa quanto sia
grande il dio che alberga in lui; ma Alcibiade lo ha sperimentato
personalmente, e adesso, disinibito dal vino bevuto, è disposto a
raccontarlo a tutti.
Tutti
sanno che Socrate è innamorato di lui, della sua straordinaria
bellezza: ed egli, confidando nei propri mezzi fisici e convinto di
avere il filosofo in pugno, aveva spesso cercato la sua intimità
per impadronirsi degli splendidi segreti della sua anima e diventare
così più sapiente. Ma siccome Socrate, pur evidentemente
innamorato, non si decideva a farsi avanti, Alcibiade, con la
consueta irruenza, aveva deciso di rompere gli indugi e di
trascorrere una notte con lui. Aveva creato a bella posta
l'occasione galeotta, tirando in lungo la conversazione fino a notte
fonda e poi invitando Socrate a dormire con lui; gli aveva
apertamente dichiarato di essere disponibile alle sue avances;
infine lo aveva abbracciato. Ebbene, Socrate aveva completamente
ignorato le sue profferte amorose e si era messo a dormire
tranquillamente.
Questo
schiaffo morale, per quanto bruciante, non aveva fatto che
accrescere la stima di Alcibiade per Socrate: stima nata comunque
già sui campi di battaglia di Potidea e di Delio, dove Socrate
aveva dato prova di straordinario coraggio ed altruismo e di
eccezionale resistenza alla fame, al freddo e alle fatiche; inoltre
non era mai stato possibile vederlo ubriaco, per quanto vino potesse
bere. In conclusione, non c'è uomo che Alcibiade stimi più di
Socrate, ora che ha imparato a guardare al di là delle apparenze,
dell'ironia del personaggio, dei paradossi del suo modo di
esprimersi: non gli resta che mettere in guardia Agatone perché
eviti di cadere a sua volta nella trappola di Socrate.
Finale:
Tutti acclamano Alcibiade, tranne Socrate che
ironizza sugli scopi reconditi del suo discorso, accusandolo di
voler mettere male fra lui ed Agatone. Improvvisamente sopraggiunge
un'allegra brigata, che si unisce al simposio e ne sconvolge tutte
le regole. Si beve senza più ritegno, e quando Aristodemo, la
mattina seguente, si desta, trova svegli solo Socrate, Agatone ed
Aristofane, impegnati in una discussione molto seria, di cui
Aristodemo ricorda solo un particolare: Socrate costringeva gli
altri ad ammettere che un vero poeta deve saper comporre sia
tragedie sia commedie. Infine s'erano addormentati anche Agatone ed
Aristofane, mentre Socrate, fresco come una rosa, se n'era andato
con Aristodemo ed aveva trascorso la giornata come al solito.
FINE