1 |
Che
si potrebbe dire sull'educazione dei ragazzi liberi e sui metodi per
farne persone serie e perbene? Vediamo un po'! |
2 |
Ma
forse è meglio iniziare direttamente dal concepimento. A chi desidera avere
figli che godano di buona reputazione, io suggerirei di non sposarsi con donne
qualsiasi, intendo dire cortigiane o concubine, perché se uno nasce con una
macchia d'origine dovuta al padre o alla madre la porta poi con sé,
incancellabile, per tutta la vita e offre a chiunque lo voglia l'opportunità di
rinfacciarglielo e di insultarlo. Saggiamente dice il poeta:
Quando
una stirpe ha cattive le basi,
la
discendenza è per forza infelice.2
Bel
tesoro di libertà di parola è la bontà dei natali e chi aspira a generare
figli legittimi se ne deve preoccupare moltissimo. Se l'origine è adulterata e
di bassa lega, anche gli spiriti grandi sono destinati, inesorabilmente, a
insuccessi e umiliazioni, e con piena ragione il poeta dice:
E
si fa servo, per quanto animoso di cuore,
chi
viene a sapere colpe di padre o madre.3
Chi
invece vanta genitori illustri freme indubbiamente d'orgoglio e di fierezza. Si
racconta, ad esempio, che il figlio di Temistocle, Diofanto, dicesse spesso e in
pubblico che i suoi desideri erano condivisi anche dal popolo ateniese, perché
quel che voleva lui lo voleva anche sua madre, quel che voleva sua madre lo
voleva anche Temistocle e quel che voleva Temistocle lo volevano anche tutti gli
Ateniesi.. Degno d'elogio davvero è anche il senso di grandezza degli Spartani,
che inflissero una multa al loro re, Archidamo, perché s'era adattato a sposare
una donna di bassa statura, imputandogli l'intenzione di dar loro non dei re, ma
dei reucci.
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3 |
A
queste considerazioni se ne potrebbe collegare un'altra, che non era trascurata
nemmeno da quanti, prima di noi, si sono occupati di questi temi. Di che si
tratta? Alludo al fatto che chi si unisce alla moglie con il proposito di
procreare deve essere completamente sobrio o perlomeno aver bevuto
moderatamente, perché chi è concepito da un padre in stato di ubriachezza
finisce di solito per diventare lui stesso un avvinazzato e un ubriacone. Per
questo anche Diogene, vedendo un giovinetto che delirava e farneticava:
«Ragazzo mio - gli disse - tuo padre doveva essere ubriaco quando ti
generò!». Ma per quel che riguarda il concepimento basti quanto ho detto.
Passiamo ora ad occuparci dell'educazione.
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4 |
In
generale, anche per la virtù si devono ribadire i concetti che abitualmente
enunciamo a proposito delle arti e delle scienze, e cioè che per pervenire a
una condotta impeccabile si richiede il concorso di tre fattori: natura, parola
e abitudine. Per parola intendo l'istruzione, per abitudine l'esercizio. Le basi
sono offerte dalla natura, i progressi dall'istruzione, le acquisizioni
dall'applicazione, la perfetta riuscita dalla concomitanza di tutte queste
condizioni. Se ne viene a mancare una, la virtù risulta inevitabilmente zoppa
da quella parte: la natura senza l'istruzione è cieca, l'istruzione senza la
natura è insufficiente, e l'esercizio, se difettano le altre due, è
inconcludente. In agricoltura è indispensabile che ci siano anzitutto un
terreno buono, poi un coltivatore esperto e infine sementi di qualità: così al
terreno si possono paragonare le doti naturali, all'agricoltore il maestro, alle
sementi i consigli e i precetti. Tutte queste condizioni, posso affermarlo
decisamente, si incontrarono e cospirarono per dar vita alle anime,
universalmente celebrate, di Pitagora, Socrate, Platone e di quanti hanno
conseguito una gloria che non tramonterà mai. Segno dunque di felicità e di
predilezione celeste è ricevere da un Dio tutti questi doni. Se qualcuno invece
pensa che chi è scarsamente dotato, nonostante un'istruzione e un'applicazione
correttamente indirizzate alla virtù, non possa compensare, nei limiti del
possibile, la propria naturale pochezza, sappia che si sta sbagliando di molto,
anzi del tutto. Se l'indolenza guasta le buone qualità naturali, l'insegnamento
ne corregge i difetti; le mete facili sfuggono ai negligenti, ma con l'impegno
si conquistano quelle difficili. Si può comprendere quanto efficaci e
determinanti siano impegno e fatica osservando molti fenomeni. Le gocce d'acqua
incavano le pietre; il ferro e il bronzo si consumano al continuo contatto
delle mani; le ruote dei carri, una volta curvate dal tornio, non potrebbero
mai, in nessun caso, riacquistare la forma rettilinea d'un tempo; è impossibile
raddrizzare i bastoni ricurvi degli attori, ma ciò che è contro natura diventa
con la fatica migliore di ciò che è secondo natura. Sono forse questi i soli
esempi che dimostrano l'efficacia del l'impegno? No, ce ne sono infiniti altri.
Un terreno è di per sé fertile, ma se lo si trascura isterilisce e anzi,
quanto migliore è per natura, tanto più incuria ed abbandono lo traggono a
rovina. Un altro, invece, è duro e accidentato più del dovuto, ma se lo si
coltiva produce subito messi rigogliose. Quali piante, se poco curate, non
crescono storte e non diventano infruttifere, mentre con un'adeguata
coltivazione danno frutti e riescono a portarli a maturazione? Quale robusta
costituzione non s'infiacchisce e consuma per trascuratezza, mollezza e cattiva
condizione fisica? Quale natura fiacca non ha compiuto, invece, decisi progressi
in robustezza, sottoponendosi a duri e faticosi allenamenti? Quali cavalli,
ricevuto un buon addestramento, non sono divenuti docili ai loro cavalieri? E
quali invece, per esserne rimasti privi, non sono risultati ingovernabili e
ombrosi? E che senso ha stupirsi del resto quando vediamo molte tra le bestie
più feroci diventare addomesticate e mansuete grazie alle fatiche? Bene rispose
quel Tessalo a chi gli domandava quali fossero i Tessali più miti: «Quelli che
smettono di guerreggiare». Ma che bisogno c'è di lunghi discorsi? Il carattere
è un'abitudine consolidata in un lungo arco di tempo e chi definisse abituali
le qualità del carattere non darebbe certo l'impressione di dire una cosa
stonata. Citerò ancora un solo esempio su questo punto, evitando di dilungarmi
sull'argomento. Licurgo, il legislatore degli Spartani, prese due cuccioli nati
dagli stessi genitori e li allevò in modo completamente diverso, facendo
diventare l'uno ingordo ed inetto, l'altro abile nel fiutare le tracce e nel
cacciare. Poi, un giorno che gli Spartani erano riuniti in assemblea: «Grande
importanza - disse - Spartani, per generare la virtù, rivestono le abitudini, i
principi educativi, gli insegnamenti e gli orientamenti di vita, e ve lo
dimostrerò subito con assoluta chiarezza». Fatti venire i cuccioli, pose loro
davanti una ciotola piena di cibo e una lepre, e li lasciò liberi: subito il
primo si avventò sulla lepre, l'altro invece si lanciò sulla ciotola. Gli
Spartani non riuscivano ancora a capire dove volesse arrivare e a che scopo
esibisse quei cuccioli: «Questi due - proseguì allora Licurgo - sono nati
dagli stessi genitori, ma sono stati allevati in modo diverso: così uno è
diventato ingordo, l'altro invece adatto alla caccia». E sulle abitudini e i
modelli di vita bastino queste considerazioni.
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5 |
In
stretta connessione con il tema precedente si potrebbe trattare ora
dell'allevamento. Le madri, a mio avviso, devono nutrire personalmente i
figli e porgere loro il seno, perché li alleveranno con affettuosità e
premura maggiori, quasi li amassero da dentro e, come usa dire, «dalle
unghie». L'affetto di balie e nutrici, invece, è insincero e fittizio,
perché è pur sempre un amore mercenario. Anche la natura indica
chiaramente che spetta alle madri allattare e allevare personalmente le
loro creature: per questo assicura ad ogni essere che partorisce il
nutrimento del latte e con previdente saggezza ha dotato le donne di due
mammelle, perché se danno alla luce dei gemelli abbiano duplice la
fonte del nutrimento. Ma prescindendo da tutto ciò, le madri
diventerebbero più tenere e più affettuose con i figli, e non senza
ragione, per Zeus!, perché il crescere assieme è come una chiave che
tende la corda dell'amore. Anche gli animali, se vengono separati da
quelli con cui sono allevati, mostrano chia ramente di sentirne la
mancanza. Prima di tutto, si deve dunque cercare, come ho detto, che le
madri allevino personalmente i figli, ma se ne fossero impedite da uno
stato di debolezza (può verificarsi anche questo) o dal voler avere
subito altri bambini, si eviti almeno di scegliere come balie e nutrici
le prime venute, e si selezionino invece quelle che danno le migliori
garanzie. E in primo luogo è fondamentale che siano greche di costumi,
perché se è indispensabile plasmare fin dalla nascita le membra dei
figli in modo che si sviluppino diritte e regolari, si deve analogamente
modellarne fin dal primo momento il carattere. La giovinezza è qualcosa
di duttile e molle, e nelle menti ancora tenere gli insegnamenti si
imprimono a fondo, mentre tutto ciò che è duro è difficile da
ammorbidire. Come i sigilli si imprimono nella molle cera, così le
nozioni lasciano la loro impronta nelle menti dei bambini. In sintonia
mi sembra la raccomandazione, rivolta dal divino Platone alle balie, di
non raccontare ai bimbi neppure delle fiabe a caso, perché le loro
menti non abbiano a riempirsi, fin dai primi anni, di stoltezza e di
corruzione. Anche il poeta Focilide mi sembra che dia un buon consiglio
quando dice:
Già
ai bambini si devono insegnare le buone azioni.4 |
6 |
Vale
la pena in questo senso di non sottovalutare neppure quest'altra precauzione, e
cioè di cercare che gli schiavetti destinati a servire i padroncini e a
crescere assieme a loro abbiano anzitutto un'indole seria e poi che siano greci
e si esprimano correttamente, perché frequentando barbari o persone di cattivi
costumi non finiscano contagiati dalla loro meschinità. Calza a proposito
quello che dicono gli amanti dei proverbi: «Chi va con lo zoppo impara a
zoppicare».
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7 |
Quando
poi avranno l'età di essere sottoposti ai pedagoghi, si dovrà procedere con
molta attenzione alla loro scelta, per evitare che i genitori, inavvertitamente,
affidino i figli a schiavi barbari o buoni a nulla. Molta gente oggi si comporta
in modo davvero ridicolo: gli schiavi di valore li impiegano come agricoltori,
nocchieri, mercanti, amministratori o usurai, ma se incappano in un servo
ubriacone ed ingordo, inutilizzabile per qualunque altra mansione, è proprio a
costui che portano e sottopongono i figli. Il perfetto pedagogo, invece, deve
possedere doti paragonabili a quelle di Fenice, il pedagogo di Achille. Passo
ora a trattare il punto più importante ed essenziale tra quelli menzionati
finora: per i figli si devono cercare maestri inappuntabili per condotta di
vita, irreprensibili sotto il profilo morale ed eccellenti sul piano
dell'esperienza, perché una formazione corretta è fonte e radice di perfezione
morale. Come gli agricoltori sostengono le piante con dei paletti, così i bravi
maestri puntellano i giovani con idonei precetti e consigli, perché il loro
carattere germogli diritto. Oggi, invece, sarebbero da esecrare certi padri, che
prima ancora di esaminare i requisiti dei futuri maestri, per ignoranza o talora
anche per inesperienza, mettono i loro ragazzi nelle mani di persone indegne e
di bassa lega. E se è l'inesperienza a farli agire così, ancora non si può
parlare di ridicolo, ma in un altro caso essi raggiungono il colmo
dell'assurdità. Quale? Talvolta, pur essendo a conoscenza, direttamente o per
sentito dire, dell'incompetenza e dell'indegnità di certi precettori, non
esitano lo stesso ad affidare loro i propri ragazzi, ora cedendo alle adulazioni
di chi li blandisce per avere il posto, ora invece per compiacere le richieste
di un amico; e così finiscono per comportarsi come un malato che rinunciasse a
farsi curare da chi ha la competenza per guarirlo e solo per far piacere a un
amico gliene preferisse un altro che con la sua incompetenza lo farà morire, o
come un armatore che si lasciasse vincere dalle istanze di un amico e scartando
il comandante migliore assumesse per la sua nave quello peggiore. Ma, per Zeus e
tutti gli Dei!, chi ha nome di padre tiene in maggior conto il favore reso a un
postulante o l'educazione dei propri figli? Non aveva dunque ragione il vecchio
Socrate di ripetere spesso che se avesse potuto sarebbe salito sul punto più
elevato della città e avrebbe detto a gran voce: «Uomini, dove mai vi
affannate, voi che riponete ogni cura nell'ammassare ricchezze, ma tanto poco vi
preoccupate dei figli a cui le lascerete in eredità?»? A queste parole io
potrei aggiungere che simili padri si comportano pressappoco come uno che si
preoccupasse delle scarpe ma si disinteressasse dei piedi. Molti padri, poi,
arrivano a tali eccessi di grettezza e al tempo stesso di disamore nei riguardi
dei figli che, pur di non pagare un onorario più alto, scelgono come maestri
dei loro ragazzi persone di nessun valore, inseguendo un'ignoranza a buon
mercato. Non priva di eleganza, e anzi assai fine, fu la battuta con cui
Aristippo si prese gioco di un padre privo di cervello e di cuore. Un tale gli
aveva chiesto che compenso volesse per educargli il figlio e sentendosi
rispondere: «Mille dracme», «Per Eracle - era sbottato - che esagerazione!
Con mille dracme posso comprarmi uno schiavo». «E allora - gli replicò
Aristippo - di schiavi ne avrai due: tuo figlio e quello che ti sarai
comprato!». Insomma, esiste cosa più assurda dell'abituare i bambini a
prendere il cibo con la destra e di sgridarli se allungano la sinistra, e non
preoccuparsi poi minimamente di far ascoltare loro «destri» e legittimi
insegnamenti? Che succede poi a questi meravigliosi padri, una volta che abbiano
male allevato e male educato i propri figli? Ve lo dirò io. Il tempo di essere
registrati tra gli adulti e subito quelli se ne infischieranno di condurre una
vita sana e ordinata e andranno a tuffarsi nei piaceri sregolati e servili.
Allora, quando ormai non servirà più a nulla, quei padri si pentiranno di aver
tradito l'educazione dei figli e si strazieranno nel vederne la mala condotta:
c'è chi si circonda di adulatori e di parassiti, gente infima e detestabile,
autentici sovvertitori e corruttori della gioventù; chi riscatta cortigiane e
prostitute altezzose e di gran costo; chi dissipa una fortuna nelle crapule; chi
va ad incagliarsi nel gioco dei dadi o nei bagordi, e chi infine mette mano ai
vizi più dissoluti, come adultèri o baccanali, pagando con la morte un solo
piacere. Se avessero frequentato invece la compagnia di un filosofo, forse non
si sarebbero lasciati facilmente trascinare in comportamenti del genere e
avrebbero perlomeno appreso la raccomandazione di Diogene, che con parole crude
nella forma, ma veritiere nella sostanza, ammonisce dicendo: «Entra in un
bordello, ragazzo mio, e imparerai che non c'è nessuna differenza fra le cose
gratuite e quelle che costano molto denaro!».
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8 |
Riassumendo,
io ribadisco (e probabilmente avrò l'aria di uno che dà oracoli più che
consigli) che in questo campo il punto unico, primo, centrale e ultimo, è
costituito da un'educazione seria e un'istruzione corretta, e sostengo che il
concorso di questi due fattori è efficace per acquisire la virtù e la
felicità. Gli altri non sono che beni umani, insignificanti e indegni di
considerazione. La nobiltà è una bella cosa, ma è un bene proprio degli
antenati; la ricchezza è preziosa, ma appartiene alla sorte, che spesso la
toglie a chi ce l'ha e la dona a chi non lo sperava. Una grande fortuna è il
bersaglio preferito di chi tende l'arco sui borsellini altrui, servi disonesti e
delatori, e quel che è peggio, la possiedono anche gli uomini più scellerati.
La gloria è meravigliosa, ma instabile; la bellezza ambita, ma caduca; la
salute preziosa, ma fragile. La forza fisica è invidiabile, ma comoda preda
della malattia e della vecchiaia, e in generale, se uno va orgoglioso della sua
robustezza, si renda conto che l'idea è sbagliata: che rapporto può mai
esserci tra la forza di un uomo e la potenza degli altri animali? Di un
elefante, ad esempio, di un toro o di un leone? L'educazione è l'unico nostro
bene immortale e divino. Nella natura umana due sono in assoluto gli elementi
più importanti: intelletto e parola. L'intelletto è signore della parola e la
parola è al servizio dell'intelletto: è inespugnabile dalla sorte,
inattaccabile dalla calunnia, indenne dalla malattia, al riparo dai guasti della
vecchiaia, perché solo l'intelletto invecchiando ringiovanisce e il tempo, che
porta via ogni altra cosa, alla vecchiaia aggiunge invece la saggezza. La
guerra, che come un torrente impetuoso tutto travolge e tutto trascina, solo
l'educazione non riesce a predare. Memorabile mi sembra la risposta data dal
filosofo Stilpone di Megara a Demetrio, che aveva preso e raso al suolo la sua
città: quando chiese a Stilpone se avesse perduto qualcosa di suo: «No di
certo! - si sentì rispondere - La guerra non depreda la virtù». In pieno
accordo e sintonia con questa appare anche la replica di Socrate a Gorgia, che
gli aveva domandato, se ben ricordo, che opinione avesse del Gran Re e se lo
considerava felice: «Non ho idea - fu la sua risposta - di come stia quanto a
virtù ed educazione», lasciando intendere che qui risiede la felicità e non
nei beni di fortuna.
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9 |
Ma
come consiglio di non considerare niente più importante dell'educazione
dei figli, così pure ribadisco la necessità di attenersi a quella pura
e sana, e di tenere i figli il più lontano possibile dal ricercare con
manierati discorsi il pubblico consenso: piacere alle masse è
dispiacere ai saggi! Anche Euripide conferma le mie parole quando dice:
Non
ho grazia nel parlare a una folla,
tra
pochi, e coetanei, sono più bravo.
Chi
fra i saggi non
vale, più ispirato è per la folla.5
Per
parte mia osservo che quanti si studiano di parlare mirando al consenso
e alla simpatia delle masse triviali, anche nella vita diventano per lo
più dissoluti e amanti dei piaceri. E non senza ragione, per Zeus! Se
trascurano il bene per far cosa gradita agli altri, tanto meno sapranno
anteporre rettitudine e sanità morale al piacere e alla soddisfazione
personali e inseguire la saggezza al posto del diletto. Che altro si
potrebbe raccomandare ai ragazzi... [breve lacuna nel testo]? È
bene non dire né fare niente a caso e, come dice il proverbio, «il
bello è difficile». I discorsi improvvisati sono pieni di molta
sciatteria e superficialità, e tipici di chi non sa da dove cominciare
né dove finire. Senza contare le altre stonature, è fatale che chi
parla improvvisando cada in una tremenda dismisura e verbosità. La
riflessione, invece, non consente al discorso di eccedere la giusta
simmetria. Pericle, a quanto ci è dato sapere, pur invocato
ripetutamente dal popolo, si rifiutò di prendere la parola, sostenendo
di non essersi preparato. Lo stesso fece Demostene, che volle emulare la
condotta politica di Pericle: gli Ateniesi ne invocavano il consiglio,
ma lui ricusava dicendo: «Non sono preparato». Questa può essere
forse una tradizione anonima e inventata, ma nell'orazione Contro
Midia è lui stesso ad evidenziare chiaramente l'utilità della
riflessione: «Ateniesi - dichiara - confesso di aver riflettuto e non
potrei negare di essermi concentrato al massimo delle mie possibilità:
sarei proprio un miserabile, se con quello che ho sofferto e che soffro,
non mi fossi curato di ciò che vi dovevo dire». Con questo, però, non
intendo sostenere la condanna assoluta dell'improvvisazione o proibirne
l'impiego anche nei casi che la richiedono, ma piuttosto la necessità
di adoperarla come si fa con una medicina. Fino all'età adulta ritengo
che non si debba mai parlare improvvisando, ma una volta radicate le
proprie capacità, allora è bene, se le circostanze lo esigono, godere
di piena libertà nell'esprimersi. Perché uno rimasto a lungo in ceppi,
anche se riacquista la libertà, per la lunga abitudine alle catene non
riesce a camminare spedito ma zoppica, e così pure chi per molto tempo
ha avuto sotto chiave la parola, anche se un giorno si trova a dover
improvvisare un discorso, fatalmente conserva nel modo d'esprimersi lo
stesso sigillo. Comunque, consentire ai ragazzi di parlare improvvisando
diventa causa del peggiore vaniloquio. Si racconta che un pittore da
strapazzo avesse mostrato un suo quadro ad Apelle, dicendogli: «Questo
l'ho dipinto ora, in un momento», ma si ebbe come risposta: «Senza che
tu lo dica, capisco da solo che è stato dipinto in fretta: mi
meraviglio, piuttosto, che di quadri del genere tu non ne abbia dipinti
più d'uno!». Come dunque (tornando all'assunto iniziale di questo
discorso) sconsiglio il ricorso a uno stile teatrale e pseudotragico,
così all'opposto raccomando di evitare e fuggire anche quello minuto e
dimesso, perché se l'enfasi è politicamente inefficace, uno stile
troppo scarno non fa colpo. Il fisico non dev'essere solo sano, ma anche
robusto: così il discorso non dev'essere solo esente da difetti, ma
anche vigoroso, perché la cautela suscita solo consensi, l'audacia
anche ammirazione. Mi capita di pensare la stessa cosa anche riguardo
alla disposizione d'animo: non si deve essere né sfrontati né al
contrario pavidi o timidi, perché nel primo caso si degenera
nell'impudenza, nell'altro nel servilismo; tenere sempre, in ogni campo,
la via di mezzo è segno invece di buon gusto e di armonia. Ma desidero,
finché ancora tratto di questo aspetto dell'educazione, esprimere la
mia idea al riguardo: un discorso monocorde è anzitutto, a mio modo di
vedere, un non trascurabile indizio di povertà culturale, e in secondo
luogo, anche ai fini pratici, lo giudico noioso e assolutamente privo di
incisività. La monotonia è sempre stucchevole e antipatica: la
varietà, invece, è gradevole, come avviene anche in tutti gli altri
campi, negli spettacoli musicali, ad esempio, o in quelli teatrali. |
10 |
Si
deve dunque consentire a un ragazzo libero di ascoltare e conoscere anche tutte
le altre discipline, che formano la cosiddetta educazione di base: queste,
comunque, le dovrà apprendere di corsa, limitandosi, per così dire, a un
assaggio (raggiungere la perfezione in ogni campo è impossibile), e assegnando
invece un ruolo preminente alla filosofia. Posso esemplificare la mia idea con
un'immagine: è bello, viaggiando per mare, scendere a visitare molte città, ma
utile è andare a risiedere in quella migliore. Argutamente anche il filosofo
Bione osservava che come i pretendenti, non riuscendo ad entrare in intimità
con Penelope, se la facevano con le sue ancelle, così pure chi non è in grado
di raggiungere la filosofia inaridisce nello studio delle altre discipline, che
al confronto non valgono nulla. Perciò la filosofia deve costituire il
coronamento dell'intero processo educativo. Per la cura del corpo gli uomini
hanno escogitato due scienze, la medicina e la ginnastica, che assicurano
rispettivamente la salute e la vigoria. Il solo rimedio alle malattie e alle
passioni dell'anima è dato, invece, dalla filosofia. Per essa e con essa è
possibile capire in che cosa consistano il bene e il male, il giusto e
l'ingiusto, quello che, in breve, si deve ricercare o evitare: come ci si debba
comportare con gli Dei, con i genitori, con gli anziani, con le leggi, con le
autorità, con i figli, con i servi, e cioè che bisogna venerare gli Dei,
onorare i genitori, rispettare gli anziani, obbedire alle leggi, sottostare alle
autorità, amare gli amici, essere temperanti con le mogli, affettuosi con i
figli, non troppo rigidi con i servi e, quel che più conta, non abbandonarsi ad
eccessi di gioia nei momenti felici e non abbattersi troppo in quelli tristi,
non essere sfrenati nei piaceri e passionali e bestiali negli stati d'ira. Tra
tutti i beni elargiti dalla filosofia questi sono, a mio avviso, i più
importanti, perché è da uomo comportarsi nobilmente nella buona fortuna, da
persona controllata non suscitare invidie, da saggio vincere con i ragionamenti
le lusinghe del piacere, da uomo non comune dominare l'ira. Perfetti sono, a mio
giudizio, gli uomini capaci di coniugare l'abilità politica con la filosofia,
perché secondo me riescono a centrare i due beni più grandi: una vita dedicata
alla pubblica utilità nel fare politica e un'esistenza calma e serena
nell'occuparsi di filosofia. Tre sono i modelli di vita possibili: l'attivo, lo
speculativo e il gaudente. Quest'ultimo, che s'abbandona e si fa schiavo dei
piaceri, è animalesco e meschino; quello attivo, se non è assistito dalla
filosofia, è goffo e stonato; quello speculativo, se fallisce sul piano
pratico, inutile. Si deve cercare dunque, con il massimo impegno, di occuparsi
degli affari pubblici e dedicarsi alla filosofia per quanto le circostanze
consentano. Cosi fecero politica Pericle, così Archita di Taranto, così,
infine, Dione di Siracusa ed Epaminonda di Tebe, che furono entrambi in
familiarità con Platones. E sulla formazione culturale non vedo la necessità
di dilungarmi ulteriormente: alle affermazioni precedenti potrei solo aggiungere
che è utile, o meglio essenziale, non sottovalutare neppure l'acquisto delle
opere del passato e farne anzi provvista, alla maniera degli agricoltori... [brave
lacuna nel testo]. Allo stesso modo la consultazione dei libri è uno
strumento di educazione e consente di attingere il sapere direttamente alla
fonte.
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11 |
D'altra
parte non è giusto nemmeno trascurare l'attività fisica, ma si devono
mandare i ragazzi dal maestro di ginnastica perché pratichino esercizi
idonei al conseguimento di un corpo armonioso e robusto insieme: pietra
fondamentale di una bella vecchiaia è la buona complessione acquisita
nella fanciullezza. Quando il tempo è bello si devono predisporre le
difese contro quello cattivo: così nella giovinezza conviene mettere in
serbo la disciplina e la temperanza come viatico per la vecchiaia. Lo
sforzo fisico, però, deve essere regolato in modo che i ragazzi non ne
escano stremati e non siano più in grado di sostenere l'impegno
richiesto dallo studio. Sonno e stanchezza sono per Platone nemici
dell'apprendimento. Perché dico questo? Perché sono ansioso di toccare
il punto più importante di tutto questo discorso: bisogna addestrare i
ragazzi in vista delle fatiche militari, allenandoli nel lancio dei
giavellotti, nel tiro con l'arco e nella caccia, perché in battaglia
«i beni dei vinti sono premi offerti ai vincitori». In guerra non c'è
posto per un fisico allevato nell'ombra e un soldato smilzo, ma avvezzo
alle fatiche militari, travolge falangi di atleti inadatti alla
guerra.
«Ma
come? - mi si potrebbe obiettare - Hai promesso di dare precetti
sull'educazione dei ragazzi liberi, ma poi trascuri in modo palese
quella dei poveri e dei popolani, e sei d'accordo nell'indirizzare i
tuoi consigli solo ai ricchi?». A un simile rilievo non è difficile
rispondere: vorrei tanto che questa educazione fosse utile a tutti,
indistintamente, ma se qualcuno non dispone di risorse adeguate e non
potrà avvalersi dei miei precetti, incolpi la sorte e non chi dà
questi consigli. Cerchino anche i poveri, con tutte le loro forze, di
assicurare ai propri ragazzi l'educazione migliore, o perlomeno quella
che è alla loro portata. Ho aggiunto questo inciso al carico del
discorso, per potermi riallacciare di seguito agli altri fattori che
contribuiscono alla corretta educazione dei giovani. |
12 |
Sostengo
anche questo, che bisogna guidare i ragazzi a comportarsi bene ricorrendo a
consigli e parole, e non, per Zeus!, a percosse o maltrattamenti. Questi metodi
sembrano forse più adatti a schiavi che a uomini liberi, perché inducono
torpore e raccapriccio di fronte alle fatiche, in parte per il dolore delle
percosse, in parte anche per l'umiliazione che ne deriva. Elogi e rimproveri
sono più utili, per i giovani di condizione libera, di qualsiasi
maltrattamento, perché i primi spronano al bene, i secondi distolgono dal male.
Bisogna saper alternare e variare punizioni ed elogi: punirli e svergognarli in
caso di errore, ma poi riconfortarli con gli elogi, imitando le nutrici, che
prima lasciano frignare i piccoli e poi li consolano porgendo loro il seno. Ma
non si deve neppure esaltarli e gonfiarli a forza di encomi, perché se si
eccede nelle lodi diventano fatui e si adagiano.
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13 |
Ho
già visto alcuni padri per i quali il troppo amore divenne causa di disamore.
Che intendo dire, tanto per rendere più chiaro il mio discorso con un esempio?
Smaniando dalla voglia di veder primeggiare più in fretta i loro ragazzi in
ogni campo, li caricano di fatiche sproporzionate, col risultato che non
riescono a reggerle e finiscono per crollare, e in ogni caso, oppressi dai
patimenti, non accolgono docilmente l'insegnamento. Le piante si sviluppano con
la giusta quantità d'acqua, ma se si esagera soffocano: così anche la mente
«con giuste fatiche s'accresce, ma da quelle eccessive finisce sommersa».
Bisogna dare dunque ai ragazzi la possibilità di riprender fiato dalle continue
fatiche, riflettendo come tutta la nostra vita sia divisa fra riposo ed impegno.
Per questo furono inventate non solo la veglia ma anche il sonno, e così la
guerra e la pace, il tempo brutto e quello bello, le attività lavorative e le
feste. Per dirla in breve, il riposo è il condimento delle fatiche. Si può
constatare come questo non riguardi solo gli esseri viventi, ma anche le cose
inanimate, visto che allentiamo archi e lire per poterli poi tendere di nuovo.
In generale, il corpo è preservato dal senso di vuoto e di pieno, la mente dal
riposo e dalla fatica.
È
giusto biasimare certi padri, che affidano i figli a pedagoghi e maestri ma poi
non si premurano affatto di osservare o di ascoltare di persona come li
istruiscono, venendo così meno in modo gravissimo ai propri doveri. Dovrebbero
invece controllare periodicamente i loro ragazzi, a pochi giorni di distanza,
evitando di riporre le proprie speranze nella disposizione d'animo di un
salariato; gli stessi maestri, poi, si prenderanno più cura degli allievi, se
saranno chiamati di volta in volta a renderne conto. Arguto, al riguardo, è il
detto dello staffiere: «Niente ingrassa il cavallo quanto l'occhio del re».
Più di ogni altra cosa, poi, si deve allenare la memoria dei ragazzi e
irrobustirla con l'abitudine, perché essa è, per così dire, il magazzino del
sapere. Per questo si favoleggiò che madre delle Muse fosse Mnemòsine,
lasciando allusivamente intendere che nulla genera e nutre quanto la memoria.
Essa va esercitata sempre, con i ragazzi che ne siano naturalmente ben dotati, e
con quelli, al contrario, che ne abbiano poca, perché nel primo caso
rafforzeremo la ricchezza delle doti naturali, nel secondo ne colmeremo le
carenze: così i primi saranno migliori de gli altri, i secondi di se stessi.
Bene ha detto Esiodo:
Se
anche poco volessi tu aggiungere al poco,
e
lo facessi spesso, in fretta potrebbe esser molto.6
Nemmeno
questo concetto sfugga dunque ai padri, e cioè che l'aspetto mnemonico dello
studio svolge un ruolo non certo secondario non solo in vista dell'educazione,
ma anche della condotta di vita, perché il ricordo delle azioni passate diventa
modello di saggezza per quelle future.
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Bisogna
inoltre tenere lontani i figli dal turpiloquio, perché, come dice
Democrito, «la parola è l'ombra dell'azione». Si deve poi fare in
modo che siano affabili e socievoli, perché i caratteri arroganti sono
giustamente malvisti: così i ragazzi potrebbero evitare l'odio dei
compagni, se nel discutere non si mostreranno assolutamente
irremovibili; non solo vincere è bello, lo è anche saper accettare una
sconfitta, quando la vittoria può risultare dannosa. Esiste in effetti
anche la «vittoria cadmea», e in proposito mi è testimone il saggio
Euripide, che dice:
Fra
due che parlano, se uno s'adira, più
saggio è colui che non ribatte.7
Dobbiamo
ora parlare di altri precetti, che i giovani devono seguire non meno di
quelli enunciati finora, e anzi di più: praticare un sobrio tenore di
vita, frenare la lingua, dominare l'ira, tenere controllate le mani. Si
osservi l'importanza di ciascuno: la si comprenderà meglio con qualche
esempio. Per cominciare dall'ultimo, dirò che alcuni, per aver posto le
mani su guadagni illeciti, buttarono via la vita vissuta sino a quel
momento: come lo spartano Gilippo, che per aver aperto di nascosto i
sacchetti pieni di denaro, fu bandito e scacciato da Sparta. Il
controllo dell'ira, a sua volta, è proprio di un uomo saggio. Socrate
era stato preso a calci da un ragazzotto inso lente e laido; vedendo che
le persone intorno a lui erano indignate e fremevano dalla voglia di
dargli addosso: «E se a scalciarmi fosse stato un asino - esclamò -
avreste ritenuto giusto ricambiarne i calci?». Quel tale, comunque, non
se la passò affatto liscia: sentendosi schernire da tutti e apostrofare
col nomignolo di «tiracalci», finì per impiccarsi. Quando Aristofane,
rappresentando le Nuvole, lo copriva di insolenze di ogni tipo, uno
spettatore gli chiese: «Ma tu, Socrate, non ti sdegni di essere
svillaneggiato a questo modo?». «No di certo, per Zeus! - fu la sua
risposta - Si scherza su di me a teatro come si farebbe in un gran
convito». Affini e degne di far coppia con queste appariranno le
reazioni di Archita di Taranto e di Platone. Il primo, di ritorno da una
guerra (ricopriva in quel momento l'incarico di stratego), trovò
incolti i suoi campi; chiamato il fattore: «Urleresti di dolore - gli
disse - se io non fossi troppo in collera». Platone, adiratosi con uno
schiavo ingordo e laido, mandò a chiamare Speusippo, il figlio di sua
sorella, e: «Pensa tu a battere costui! - gli disse allontanandosi - Io
sono troppo arrabbiato». Mi si potrebbe obiettare che questi sono
comportamenti difficili e duri da imitare. Lo so anch'io, ma per quanto
è possibile bisogna almeno tentare di servirci di simili esempi e
sottrarre quanto più è possibile a una collera sfrenata e furiosa: in
nessun campo, d'altra parte, possiamo contendere con la bravura e la
perfezione morale di quei grandi! Ciò nonostante, quasi fossimo sacri
interpreti della loro divinità e portafiaccole della loro sapienza,
dobbiamo sforzarci, per quanto sta in noi, di imitarne i comportamenti e
carpirne qualcosa. Quanto poi al tenere a freno la lingua (che, in base
al mio proponimento, è l'ultimo punto che mi rimane da trattare), se si
pensa che abbia scarso rilievo e importanza, si è molto lontani dal
vero: un tempestivo silenzio è cosa saggia e vale più di qualunque
discorso! Per questo, mi sembra, gli antichi istituirono i riti di
iniziazione, perché abituati in quei frangenti a mantenere il silenzio,
potessimo poi trasferire il timore suscitato dagli Dei alla fedeltà nel
custodire i segreti degli uomini. Di fatto, nessuno s'è mai pentito di
aver taciuto; moltissimi, invece, di aver parlato. È facile dire ciò
che si è taciuto, ma riafferrare quel che si è detto è impossibile.
So per sentito dire che un'infinità di persone è piombata nelle più
gravi sventure per non aver saputo tenere a freno la lingua.
Tralasciando gli altri, mi limiterò a menzionare uno o due casi, a mo'
di esempio. Quando il Filadelfo sposò la sorella Arsìnoe, Sotade gli
disse:
Tu
spingi il pungolo in un foro proibito.
Così
marcì molti anni in prigione, pagando il non biasimevole fio di un
parlare inopportuno, e per far ridere gli altri finì lui per piangere a
lungo. Cose comparabili e analoghe a queste ebbe a dire e a subire anche
il sofista Teocrito, e anzi ben più tremende. Alessandro aveva ordinato
ai Greci di preparare vesti di porpora, per offrire al suo ritorno
sacrifici di ringraziamento per la vittoria riportata nella guerra
contro i barbari: i singoli popoli stavano versando i loro contributi in
denaro, quando Teocrito esclamò: «Prima ero incerto, ma ora comprendo
bene che è questa la "morte purpurea" di Omero». Cosi
dicendo si attirò l'inimicizia di Alessandro. Un'altra volta suscitò
una collera smisurata nel re macedone Antigono, che aveva un occhio
solo, rinfacciandogli la sua menomazione: questi gli aveva inviato il
suo capocuoco, Eutropione, pretendendo che, per la sua militanza
nell'esercito, gli si presentasse per fare rapporto e ricevere
istruzioni. Eutropione si recò più volte da lui, ma tentò invano di
riferirgli il messaggio. Alla fine si ebbe come risposta: «So bene che
vuoi servirmi crudo in tavola al Ciclope», battuta con cui rinfacciava
all'uno di essere guercio e all'altro di essere cuoco. Eutropione allora
gli replicò: «Non salverai la testa, ma pagherai il fio di questa tua
folle linguaccia!», e riferì ogni cosa al re, che inviò dei sicari e
fece assassinare Teocrito. In aggiunta a tutte queste raccomandazioni,
il dovere più sacro è abituare i ragazzi a dire la verità, perché
mentire è vizio da schiavi, che merita l'odio di tutti gli uomini e non
si può perdonare neppure ai servi misurati. |
15 |
Fin
qui non ho avuto né dubbi né tentennamenti nell'esporre queste
considerazioni sulla condotta e la moralità dei ragazzi, ma sul tema
che mi accingo ad affrontare ora sono perplesso e diviso tra due
opinioni, e inclinando ora da una parte ora dall'altra come sul piatto
di una bilancia, non riesco a piegare verso nessuna delle due e sono
molto dubbioso sull'opportunità di introdurre un simile argomento o
lasciarlo cadere. Pur tuttavia devo trovare il coraggio di parlarne. Di
che si tratta? Se si debba permettere agli amanti dei ragazzi di
frequentarli e stare con loro, o se non sia meglio, al contrario,
impedirlo e tenerli lontani dalla loro compagnia. Quando penso a quei
padri tutti d'un pezzo, arcigni e austeri, che ritengono la compagnia
degli amanti un oltraggio intollerabile per i loro figlioli, mi guardo
bene dal farmene promotore e consigliere. Quando invece penso a Socrate,
Platone, Senofonte, Eschine, Cebete e a tutta la schiera di coloro che
approvarono gli amori maschili e furono per gli adolescenti guida
intellettuale, politica e morale, allora divento un altro e propendo per
l'imitazione di quei grandi uomini. Testimonia in loro favore Euripide,
quando dice:
Ma
esiste tra i mortali un altro amore, dell'anima
giusta, temperante e buona.8
Non
si deve trascurare neppure la frase di Platone, mista a un tempo di
serietà e facezia, secondo cui dev'essere concesso a quanti hanno dato
prova di valore di scegliere fra i bei ragazzi quelli che vogliono
amare. Si dovrebbe dunque respingere chi è attratto dal fiore della
giovinezza, mentre sono da ammettere senza riserve quelli che sono
innamorati dell'anima: gli amori praticati a Tebe e nell'Elide, e il
cosiddetto ratto di Creta, sono da evitare; quelli in uso ad Atene e a
Sparta, invece, da emulare. |
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In
questo campo, dunque, ciascuno si regoli secondo le proprie convinzioni. Quanto
a me, dato che finora ho parlato della disciplina e della compostezza dei
ragazzi, passerò adesso a trattare anche dell'età adolescenziale, facendo una
brevissima premessa. In più occasioni ho avuto modo di biasimare i responsabili
dell'introduzione di cattive abitudini, quelli cioè che sottopongono i bambini
al controllo di pedagoghi e maestri ma poi lasciano pascolare liberamente
l'impulsività degli adolescenti, mentre al contrario è con questi ultimi, più
che con i bambini, che c'è bisogno di cautela e vigilanza. Chi non sa che le
mancanze dei bambini sono lievi e perfettamente sanabili, e si riducono
probabilmente a noncuranza verso il pedagogo o a qualche sotterfugio e
disobbedienza nei riguardi del maestro, mentre le colpe della prima giovinezza
sono spesso aberranti e funeste: eccessi di gola, furti di denaro paterno, dadi,
gozzoviglie, sbornie, amoreggiamenti con fanciulle e seduzione di donne sposate?
Non c'è dubbio che l'impulsività di costoro debba essere imbrigliata e tenuta
sotto stretto controllo. L'età in fiore è sregolata nei piaceri, scalpitante e
bisognosa di freno, tanto che, se non la si blocca con decisione, si finisce
inavvertitamente per consentire alla sua sventatezza di degenerare in
comportamenti ingiusti. Un padre coscienzioso deve dunque stare in guardia e
vigilare soprattutto in questa fase delicata, ed indirizzare gli adolescenti
alla temperanza ricorrendo ad insegnamenti, minacce, preghiere, consigli,
promesse, ed additando l'esempio di quanti per amore dei piaceri finirono male o
seppero al contrario procurarsi elogi e buona reputazione grazie al loro
autocontrollo. Due sono, per così dire, le vie maestre della virtù: speranza
d'onore e timore di punizioni. La prima rende i giovani più ardenti verso i
comportamenti più belli, la seconda li fa più esitanti verso le azioni cattive.
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17 |
In
generale, poi, è opportuno tenere lontano i ragazzi dal frequentare i cattivi
soggetti, perché dai loro vizi riportano sempre qualcosa. La stessa
raccomandazione faceva anche Pitagora, servendosi di espressioni enigmatiche,
che io voglio ora citare e spiegare, dato che anch'esse influiscono non poco
sull'acquisizione della virtù. Ad esempio: «Non gustare melanuri», cioè non
intrattenersi con persone «nere» di malvagità; «Non far tracollare la
bilancia», che indica la necessi tà di tenere in grandissimo conto la
giustizia e non trasgredirla; «Non sedere sulla chènice», cioè fuggire
l'ozio e provvedere a procurarci il sostentamento quotidiano; «Non porgere a
chiunque la destra», invece di dire: «Nel fare accordi ci vuole cautela»;
«Non portare un anello stretto», e cioè la vita va vissuta in libertà e
senza contrarre legami; «Non attizzare il fuoco col ferro», invece di dire:
«Non irritare chi è adirato», perché non sarebbe conveniente, ma è meglio
assecondare chi è in preda all'ira; «Non mangiare il cuore», ossia non far
male all'anima logorandola di ansie; «Astenersi dalle fave», cioè non bisogna
darsi alla politica, perché anticamente era con le fave che si facevano le
votazioni con cui si poneva fine alle magistrature; «Non mettere il cibo
nell'orinale»: significa che non si dovrebbe riporre un discorso valido in
un'anima malvagia, perché la parola è nutrimento del pensiero, ma la
malvagità degli uomini la rende impura; «Giunto ai confini non volgerti
indietro», cioè quando si è in punto di morte e si vede ormai vicino il
termine della vita, accettare di buon grado e non smarrirsi d'animo.
Tornerò
ora all'assunto iniziale del discorso. Come dicevo, bisogna tenere lontani i
ragazzi da tutti i cattivi soggetti, ma in particolar modo dagli adulatori.
Vorrei dire anche qui quello che continuo a ripetere in diverse occasioni e
parlando con molti padri: non esiste genia più esiziale, o più efficace e
rapida nel rompere il collo alla gioventù, degli adulatori, che annientano
dalla radice padri e figli, e rendono penosa agli uni la vecchiaia, agli altri
la giovinezza, agitando davanti ai loro consigli l'esca irresistibile del
piacere. Ai giovani ricchi i padri raccomandano la sobrietà, gli adulatori
l'ubriachezza; la temperanza, loro invece la lascivia; il risparmio, loro lo
sperpero; la laboriosità, loro invece l'ozio. E aggiungono: «Un istante è la
vita: vivere bisogna, non vegetare! Che t'importa delle minacce di tuo padre?
Non è che un vecchio rimbambito, uno spettro che cammina: presto lo caricheremo
sulle spalle e lo porteremo alla tomba». Un altro gli procura una prostituta o
seduce per lui una donna sposata e così saccheggia e devasta le sostanze che i
padri hanno messo da parte per la vecchiaia. Razza maledetta! Commedianti
dell'amicizia! Ignorano il gusto della sincerità; adulano i ricchi e spregiano
i poveri; sono attratti dai giovani come dal suono della lira; sogghignano
quando chi li mantiene ride di cuore, impostori e bastardi dell'umano consorzio!
Vivono al cenno dei ricchi: per sorte nati liberi, per scelta propria schiavi!
Quando non sono insultati, è proprio allora che hanno la sensazione di esserlo,
perché si sentono mantenuti inutilmente. Se a un padre sta a cuore la buona
educazione dei figli, provveda dunque a scacciare questi esseri immondi, e
faccia lo stesso anche con i cattivi compagni di scuola, che sanno corrompere
perfino le nature più nobili.
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Queste
riflessioni, dunque, si ispirano al bene e all'utile, queste altre, che sto per
esporre, al senso d'umanità. Io non ritengo opportuno che i padri siano eccessi
vamente rigidi e intransigenti, ma al contrario penso che in più d'una
occasione debbano essere disposti a perdonare i falli più leggeri, ricordando
che sono stati giovani anche loro. Temprando con succhi dolci le medicine amare,
i medici hanno fatto di ciò che è piacevole una via d'accesso all'utile: così
i padri devono attenuare l'asprezza dei rimproveri con la dolcezza e ora
distendere e allentare la briglie ai desideri dei figli e ora invece tirarle, e
soprattutto sopportarne gli errori senza perdere il buonumore, e se non ci
riescono, dopo lo scatto d'ira, disinfiammarsi in fretta. Un padre deve dare
immediato sfogo alla collera piuttosto che covarla a lungo dentro di sé,
perché un atteggiamento rancoroso e mal disposto alla conciliazione è indizio
non lieve di mancanza d'amore verso i figli. È bene anche, nei riguardi di
talune loro mancanze, far finta di non esserne neppure a conoscenza, e
trasferire su quegli episodi la debolezza di vista e di udito tipica della
vecchiaia, sì da non vedere pur vedendo e da non sentire pur sentendo certe
loro bravate. Tolleriamo le mancanze degli amici: che c'è di strano se facciamo
lo stesso con i figli? In più occasioni abbiamo evitato di rimproverare
l'ubriachezza a schiavi intontiti dal vino. Una volta sei stato stretto? Ora
largheggia! Un'altra volta ti sei arrabbiato? Ora perdona! È ricorso a un servo
per ingannarti? Frena la collera! Ti ha sottratto dalla campagna una coppia di
animali o è ritornato coll'alito che ri sentiva della sbornia del giorno prima?
Fa' finta di niente! È tutto un profumo? Non dire niente! Così si doma la
gioventù, quando scalpita come un puledro.
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19 |
Quelli
poi che non sanno resistere ai piaceri e sono sordi ai rimproveri bisogna
cercare di sottoporli al giogo del matrimonio, perché questo è per la
giovinezza il vincolo più sicuro. Occorre però garantire ai figli spose non
molto più nobili o più ricche di loro. Saggio è il detto: «Prendi quella che
fa per te», perché chi sposa una donna di condizione molto superiore alla sua,
più che marito della moglie finisce, senza accorgersene, per diventare schiavo
della dote.
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20 |
Qualche
breve osservazione ancora e concluderò i miei suggerimenti. Prima di ogni altra
cosa è indispensabile che i padri, comportandosi in modo irreprensibile e
adempiendo a tutti i loro doveri, si offrano ai figli come un luminoso esempio,
perché guardando alla loro vita come in uno specchio essi rinuncino ad agire e
parlare in modo vergognoso. Quei genitori che rimproverano ai figli le medesime
colpe in cui cadono anche loro, finiscono inconsapevolmente per accusare se
stessi sotto il nome dei figli. Insomma, se conducono una vita riprovevole non
hanno la libertà di riprendere nemmeno gli schiavi, figuriamoci i figli!
Comunque, prescindendo da questo, tali genitori diventerebbero per loro
consiglieri e maestri di fare il male. Dove i vecchi sono impudenti, è
inevitabile che anche i giovani siano privi di ogni ritegno. Per una corretta
educazione dei figli si devono dunque impiegare tutti i mezzi opportuni,
prendendo a modello Euridice che, pur essendo illirica e tre volte barbara, si
mise a studiare in età avanzata per seguire i figli nello studio. E l'amore che
portò loro è ben espresso dall'epigramma da lei dedicato alle Muse:
Euridice
di Irra consacrò questa offerta alle Muse,
colto
nell'anima il desiderio di sapere.
Già
madre di figli fiorenti, si sforzò d'imparare
le
lettere, che serbano delle parole il ricordo.9
Concludendo,
riuscire a far proprie tutte le raccomandazioni qui esposte è forse solo una
speranza, ma aspirare a concretarne la maggior parte, anche se richiede fortuna
e grande impegno, è pur sempre una meta raggiungibile per chi ha natura di
uomo.
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Traduzione
di Giuliano Pisani
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