Orazio Il desiderio esaudito Satira 2. 6 v. 1) Questo era nei (miei) desideri: un pezzo di terra non tanto grande, dove ci fosse un orto e vicino alla casa una fonte di acqua perenne e un po' di bosco oltre a queste cose: di più e meglio hanno fatto gli dèi: va bene! Non chiedo nulla di più, v. 5) o figlio di Maia (lett.: nato da Maia), se non che (tu) mi renda questi doni di mia proprietà. Se non ho reso il mio patrimonio più consistente con mezzi illeciti nè ho intenzione di render(lo) più esiguo con il vizio o con la colpa, se, da stolto, non rivolgo (agli dèi) nessuna di queste preghiere: "O se si potesse aggiungere quell'angolo così vicino, che ora rende irregolare il (mio) campicello!" v. 10) "O se qualche colpo di fortuna mi facesse trovare un vaso (pieno) di soldi, come a quello che, (da) bracciante (che era), trovato un tesoro, arò quello stesso campo, dopo averlo comprato, (diventato) ricco con l'amicizia di Ercole!", se quello che ho (mi è) gradito (e) mi appaga, con questa preghiera ti invoco: rendi grasso il bestiame al padrone e tutto il resto eccetto v. 15) il cervello, e, come sei solito, assistimi (come) il massimo custode. Dunque, da quando mi sono ritirato dalla città sulla roccaforte di (questi) monti, che cosa dovrei cantare prima con le satire e la Musa pedestre? Non mi distrugge il fastidioso brigare, né l'afoso scirocco, né l'autunno malsano, (stagione di) guadagni per l'acerba Libitina. v. 20) O padre mattutino, o Giano, se preferisci sentirti chiamare (così). (tu) da cui gli uomini intraprendono le prime fatiche della vita operosa (lett.: delle opere e della vita), - così piacque agli dèi - sii per me inizio del canto. A Roma mi trascini (a far da) garante: "Suvvia, Sbrigati, affinchè nessuna adempia al compito prima (di te)!" v. 25) Sia che l'Aquilone spazzi le terre, sia che l'inverno trascini il giorno nevoso con un giro più stretto, è necessario andare. Poi, dopo aver detto in modo chiaro e fermo ciò che può nuocermi, devo lottare in mezzo alla folla e far prepotenza a chi è lento (lett.: ai lenti). "Ma che vuoi, pazzo?" e "Che cosa fai?" uno screanzato (mi) assale v. 30) con imprecazioni adirate: "Tu travolgeresti tutto ciò che ti ostacola se per caso corri col pensiero memore a Mecenate". Ciò mi piace ed è per me come il miele (lett.: è a me di miele), non mentirò. Ma, appena si è giunti al tetro Esquilino, cento affari altrui mi saltano addosso sulla testa e al fianco. "Roscio ti pregava v. 35) di assisterlo domani prima delle otto al Puteale". "Gli scribi ti pregavano, Quinto, che ti ricordassi di ritornare oggi per una cosa importante e nuova e di interesse comune". "Fai in modo che Mecenate imprima il sigillo su questi documenti". Avresti un bel dirgli: "Proverò", "Se vuoi, puoi" aggiunge e incalza. v. 40) Se ne saranno andati già sette anni, anzi otto (lett.: il settimo anno più vicino all'ottavo) da quando Mecenate cominciò a considerarmi nel numero dei suoi (amici), solo per questo, per far salire in carrozza qualcuno che volesse facendo un viaggio e per confidargli sciocchezze di questo tipo: "Che ora è?", "Il trace Gallina è pari a Siro?" v. 45) "I freddi del mattino mordono già quelli poco prudenti", e cose che si ripongono bene in un orecchio pieno di fessure. Per tutto questo tempo di giorno in giorno e di ora in ora (sempre) più soggetto all'invidia (è stato) il nostro (Orazio). Aveva assistito ai giochi insieme (a lui), aveva giocato nel campo (Marzio), tutti (a dire): "Figlio della fortuna!" v. 50) Una voce agghiacciante si diffonde dai rostri per i crocicchi: chiunque (mi) viene incontro, mi consulta: "O caro - infatti è inevitabile che tu (lo) sappia, poiché sei a stretto contatto con gli dèi - hai sentito qualcosa dei Daci?" "Nulla, davvero". "Tu sarai( lett.: come sarai) sempre un burlone!" "Ma che tutti gli dèi mi tormentino v. 55) se so qualcosa". "Allora? Cesare ha intenzione di dare le terre promesse ai soldati (veterani) in Sicilia o in suolo italico?" Mentre giuro che non so nulla, mi ammirano come l'unico mortale evidentemente (capace) di straordinario e profondo silenzio. Tra queste cose si spreca per (me) misero il giorno non senza (simili) rimpianti: v. 60) "O campagna, io ti rivedrò e quando mi sarà lecito ora coi libri degli antichi, ora con il sonno e con ore di inattività abbandonarmi al felice oblio della vita affannosa? Oh, quando le fave, parenti di Pitagora e insieme i legumi ben conditi con grasso lardo, (mi) saranno imbanditi? v. 65) O notti e cene degli déi, io stesso e i miei (amici) davanti al mio focolare domestico mangio e nutro gli schiavi sfrontati con vivande (appena) assaggiate!" Secondo come piace a ognuno, il convitato si scola calici diversi, libero da leggi prive di senso, sia che uno, da robusto (bevitore) prenda bicchieri (di vino) v. 70) piuttosto forti, sia che preferisca bagnarsi la gola con (vinelli) leggeri. E così nasce la conversazione, non sulle ville o sui palazzi altrui, né se Lepore danzi male o no; ma discutiamo di ciò che più ci riguarda e che è male non sapere, (cioè) se gli uomini siano felici per le ricchezze o per la virtù, v. 75) o che cosa ci spinga alle amicizie, se l'utile o l'onesto e quale sia la natura del bene e che cosa il culmine di esso. Il vicino Cervio tra queste parole racconta le favolette della nonna a seconda dell'occasione. Se qualcuno infatti, ignaro, loda le ricchezze piene di apprensione di Arellio, incomincia così: "Si dice che una volta v. 80) un topo di campagna invitò nella sua povera tana un topo di città, un vecchio ospite (che accoglie) un vecchio amico; scorbutico e attento ai (cibi) procuratisi, ma tuttavia (non) al punto di (non) sciogliere all'ospitalità l'animo taccagno. Che (bisogno c'è di fare) molte parole? Né egli risparmiò ceci messi in serbo né la lunga avena, v. 85) e, portando con la bocca un acino appassito e pezzetti di lardo mezzi rosicchiati, (glieli) offrì desiderando, con una cena varia, vincere la schizzinosità di (lui) che toccava a malapena le singole cose con dente sdegnoso; mentre lo stesso padrone di casa, disteso sulla paglia fresca, mangiava farro e loglio, lasciando le vivande migliori (all'altro). v. 90) Infine il cittadino dice a costui: "A che ti giova, amico, vivere di spenti (lett.: sopportando) sulla costa di un bosco scosceso? Vuoi tu anteporre gli uomini e la città alle aspre selve? Prendi con me (lett.: come compagno) il cammino, dammi retta; poiché le creature terrestri vivono avendo ricevuto in sorte anime mortali e non vi è alcuno v. 95) scampo alla morte né per il ricco né per il povero: perciò, amico, mentre ti è possibile, vivi felice in mezzo a situazioni piacevoli, vivi memore di quanto (tu) sia di breve durata". Queste parole, appena dette, scossero il campagnolo (che) balzò (lett.: balza) lesto fuori di casa; quindi entrambi percorrono il cammino prefissato, ansiosi di entrare v. 100) furtivamente di notte nelle mura della città. E già teneva la notte lo spazio a metà del cielo, quando entrambi pongono i (loro) passi in un ricco palazzo, dove, su letti d'avorio, splendeva un drappo tinto di rosso porpora e c'erano, avanzate da una grande cena, molte portate v. 105) del giorno prima che, in disparte, stavano in canestri ben colmi. Dunque, quando ebbe collocato disteso su un drappo purpureo il campagnolo, come uno schiavo col grembiule rimboccato (succinctus), l'ospite corre qua e là e continua a portare vivande e assolve agli stessi compiti di un cameriere domestico, leccando prima tutto ciò che porta. v. 110) Quello, sdraiato, gode della sorte mutata e in quella cuccagna (lett.: cose buone) fa la parte del commensale lieto, quando all'improvviso un gran fragore di di porte fece balzare entrambi giù dai letti. Correvano spaventati per tutta la stanza e, ancor più, trepidavano senza fiato non appena l'alto palazzo risuonò v. 115) (del latrato) di cani molossi. Allora il campagnolo: "Non ho proprio bisogno di questa vita", disse e "Stammi bene! Il bosco e il (mio) buco sicuro dai pericoli, mi consoleranno con le umili lenticchie".
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