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Licida e Meri

Ecloga IX

 v. 1) Licida: Dove ti (portano) i piedi, Meri? Forse dove conduce la via, in città?

 v. 2)  Meri: O Licida, vivi siamo arrivati al punto che uno straniero – cosa che mai abbiamo temuto – (diventato) padrone del nostro campo, dicesse: “Queste cose sono mie, andate altrove, vecchi coloni”. Ora sopraffatti, tristi, poiché la Sorte tutto sovverte, mandiamo a lui questi capretti e male gliene incolga (lett.: e questo non gli porti bene).

 v. 7)  Licida: Eppure, in realtà, avevo sentito dire che il vostro Menalca con i canti aveva salvato tutti i luoghi, da dove i colli incominciano ad abbassarsi e a far scendere il loro giogo con un dolce pendio fino all’acqua (del fiume) e agli antichi faggi, dalle cime ormai spezzate (lett.: cime spezzate).

 v. 11) Meri: L'avevi sentito dire e la fama corse. Ma i nostri carmi valgono, o Licida, tra i dardi di Marte, tanto quanto dicono (che valgano) le colombe Caonie quando arriva l'aquila. E se una cornacchia (gracchiando) da un cavo leccio, alla mia sinistra, non mi avesse avvertito di troncare, in qualunque modo, le nuove liti, né il tuo Meri (sarebbe) qui, né vivrebbe (più) lo stesso Menalca.

 v. 17) Licida: Ah! C'è qualcuno capace di un così grande delitto? (lett.: può cadere in qualcuno un così grande delitto?) Ah, per poco non ci sono stati strappati insieme a te, o Menalca, i tuoi canti, conforto per noi! Chi canterebbe le Ninfe? Chi cospargerebbe la terra di erbe in fiore o avvolgerebbe le fonti di verde ombra? O (chi canterebbe quei) carmi che (io) poco fa in silenzio ti sottrassi (= ascoltai), mentre andavi da Amarillide, delizia nostra: "O Titiro, finché (non) torno, il tragitto è breve, pascola le caprette e, dopo che hanno mangiato, portale a bere, Titiro, e, nel condurle, bada di non incontrare il caprone, ferisce con le corna, quello".   

 v. 26) Meri: O piuttosto questi che, non ancora rifiniti, cantava per Varo: "O Varo, il tuo nome in alto porteranno fino alle stelle i cigni col (loro) canto - purché Mantova sopravviva a noi, Mantova, ahimè, troppo vicina all'infelice Cremona".

 v. 30) Licida: Così i tuoi sciami (d'api) evitino i tassi cirnei, così le (tue) vacche, dopo aver pascolato il citiso, abbiano le mammelle turgide (di latte): incomincia, se hai qualche verso (lett.: se hai qualcosa). Anche me le Pieridi fecero poeta, anch'io ho dei versi, anche me i pastori chiamano vate; ma io non credo a loro. Infatti non mi sembra ancora di cantare carmi degni di Vario né di Cinna, ma di starnazzare come un'anatra in mezzo ai cigni canori.

 v. 36) Meri: Sto facendo proprio questo e in silenzio, o Licida, penso tra me e me se riesco a ricordarmene; e non è senza fama il carme: "Vieni qui, o Galatea! Che divertimento c'è infatti tra le onde? Qui c'è la purpurea primavera, qui la terra sparge intorno ai fiumi variopinti fiori, qui un candido pioppo sovrasta l'antro e le flessuose viti intrecciano pergolati; vieni qui e lascia che i flutti violenti si abbattano sulle spiagge".

 v. 44) Licida: E che (dire) (di) quei versi che ti avevo sentito cantare da solo nella notte serena? Ricordo il ritmo, se solo ne ricordassi le parole. "O Dafni, perché guardi i punti del cielo dove da tempo remoto nascono gli astri? (lett.: le antiche nascite degli astri?) Ecco, è sorto l'astro di Cesare Dioneo, per cui i campi seminati gioiscono delle messi e l'uva sui colli soleggiati prende colore. Innesta i peri, o Dafni, i nipoti coglieranno i tuoi frutti".

 v. 51) Meri: Il tempo porta via tutte le cose, anche la memoria: mi ricordo che spesso da ragazzo facevo tramontare lunghe giornate cantando; ora tanti canti sono stati dimenticati da me; anche la stessa voce ormai abbandona Meri; i lupi per primi hanno visto Meri. Ma Menalca tuttavia te li ripeterà spesso finché basta.

 v. 56) Licida: Adducendo pretesti, tiri in lungo i miei desideri. Ed ora tutta la pianura, distesa, tace (oppure: tutto il mare; oppure: ogni specchio d'acqua tace tranquillo) per te; e, guarda, tutti i soffi del vento mormorante sono caduti. di qua, appunto, siamo a metà strada e infatti incomincia a vedersi il sepolcro di Bianore: qui cantiamo, Meri, qui dove i contadini potano il denso fogliame. Qui deponi i capretti, andremo lo stesso in città. O se temiamo che la notte raccolga prima la pioggia, cantando possiamo continuare a camminare; perché possiamo camminare cantando, io  ti alleggerirò di questo fardello.

 v. 66) Meri: Non dire di più, ragazzo, e facciamo ciò che ora preme; quando verrà lui, allora canteremo meglio i carmi. 

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